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Il vizietto di Alberto Puig

7 agosto 2020

Il vizietto di Alberto Puig
Non è stato lui a far cadere Marquez, non è stato lui a costringerlo sulla moto a Jerez, non è stato lui a fargli aprire la finestra, ma è sua una recidiva tendenza ad avanzare scuse che non fanno che peggiorare le cose. Basta ricordare quella volta con Dani Pedrosa...

Probabilmente ha ragione Guido Meda: se c’è qualcuno che ha le responsabilità più significative su quanto accaduto a Marc Marquez, quel qualcuno è il medico che lo ha operato e non certo Honda. Vero, verissimo. Ma la tempesta di polemiche che si è scatenata su Alberto Puig non riguarda mica le sue presunte colpe: è chiaro che il team manager di Honda non ha fatto cadere Marquez, non lo ha rimesso sulla moto e non lo ha costretto ad aprire la finestra. È chiaro pure che il team manager, nel vedere che i medici non avevano nulla da dire sul fatto che Marquez risalisse in sella, non aveva motivo di opporsi alla decisione del pilota. Il problema però è un altro: l’atteggiamento di Alberto Puig. E le giustificazioni che adduce alle cose che accadono o, peggio ancora, a quelle che dice.

Nel caso specifico di Marc Marquez, ieri, la storia della rottura della placca provocata dal gesto di aprire una finestra scorrevole a doppio vetro non poteva non generare una tempesta di polemiche. Non che non sia vero, magari il Cabroncito ha avvertito che qualcosa non andava nel suo braccio proprio mentre faceva la più banale delle azioni casalinghe, ma la placca non si è certo deposizionata per quello. È come se uno si beve venti birre e subito dopo anche un sorso d’acqua, poi si sente male e conclude che l’acqua fa male.

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Ma allora perché dare questo tipo di giustificazioni? Perché inventarsi quella che sembra a tutti gli effetti soltanto una scusa? Perché non mettersi mai nella posizione di essere serenamente credibili, affidabili? Non è la prima volta che lo fa. L’abbiamo visto con la storia del mercato, quando per riparare ad una tempesta mediatica ha affermato che Marquez sapeva tutto del declassamento del fratello Alex nel team LCR, quasi a far passare da scemo chi aveva ipotizzato il contrario. L’abbiamo visto anche quando ha detto che chi vincerà questo mondiale senza Marquez non potrà sentirsi campione al 100%, salvo poi affermare che non voleva dire esattamente quello e che era stato male interpretato. E queste sono le vicende recenti. Ma c’è un precedente ancora più vecchio, di dodici anni fa, che se molti avevano rimosso, la rete e soprattutto i social hanno ricordato: Germania 2008. Sulla pista del Sachsenring Dani Pedrosa, che quell’anno coltivava anche ambizioni mondiali ed era in testa alla classifica generale, era nettamente in vantaggio su tutti sotto la pioggia.

La classica gara alla Pedrosa quando riusciva a mettersi davanti, sfruttando le sue doti e accumulando vantaggio sugli altri con condizioni dell’asfalto quasi estreme a causa delle abbondanti precipitazioni. Una corsa praticamente messa in tasca, con sette secondi (SETTE) di vantaggio, per il piccolo pilota spagnolo in soli cinque giri. Eppure, ogni volta che Pedrosa passava davanti al suo box, ad essergli comunicato era un gap di molto inferiore rispetto a quello reale. Comunicazioni volutamente errate per farlo spingere ancora di più. Risultato: caduta di Pedrosa al sesto giro e ambizioni mondiali spente. “Trauma alla mano sinistra con frattura scomposta della base della falange ungueale del dito indice – recitava il bollettino della Clinica Mobile – lesione dell’apparato estensore (lesione di Segond). Rottura della capsula della prima interfalangea del dito medio della mano sinistra, con lesione delle banderelle dell’apparato estensore. Distorsione della prima interfalangea dell’anulare della mano sinistra. Distorsione tibio-tarsica destra con distacco parcellare del malleolo peroneale”.

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Tanta sfortuna, certo, ma molti fecero osservare quelle anomale comunicazioni del box che probabilmente avevano spinto il pilota a correre dei rischi inutili, finendo per cadere e per lasciare la vittoria a Stoner. Quelle comunicazioni portavano una firma: Alberto Puig. E cosa disse il team manager di Honda, allora manager di Pedrosa, per rispondere alle inevitabili polemiche che erano nate in seguito a quanto accaduto e alle sue decisioni? Disse che quello era un modo di comunicare tra lui e il pilota, una sorta di linguaggio in codice decifrabile solo da loro e che, quindi, il pilota sapeva benissimo di avere un vantaggio superiore rispetto a quello comunicato dal box.

Ecco, come detto per l'uscita sulla finestra, anche il quel caso la toppa sembrò peggiore del buco. Un vizietto antipatico che sembra riproporsi ciclicamente nei suoi effetti dannosi per i piloti e per il team con cui lavora. Quanto sarebbe più umano, più accettabile e anche più corretto un “abbiamo sbagliato tutti, siamo uomini e può capitare”?

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