Imane Khelif si è detta ferita dal “bullismo mediatico” di giornali e politici intorno al suo caso. Ha ragione, ma di chi è la colpa? Non di chi si butta sulla notizia e fa campagna elettorale, né di chi fa informazione. La colpa è del Cio, il Comitato olimpico internazionale. Per capire il sesso di Khelif e di Lin Yu-Ting, ma la questione si estende a tutti i casi passati e ai casi futuri che potrebbero esserci, basterebbe un semplice test del dna, normalmente fatto in modo innocuo con un tampone salivare. Ma perché il Cio non si decide a farlo? Lo screening genetico è stato considerato discriminatorio e invasivo nel 1999, quando il Cio ha definitivamente abbandonato questo genere di test, l’alternativa migliore alla pratica precedente, quella dell’osservazione e delle visite ginecologiche. Come spiegato nell’articolo storico Gender verification of female athletes (2000) scritto da alcuni dei sostenitori dell’abolizione di queste pratiche, i test genetici sono stati abbandonati perché avrebbero portato a stigmatizzare “femmine con condizioni quali l’insensibilità agli androgeni, il mosaicismo maschile e il deficit della 5-alpha reduttasi”. Il paper, oggi considerato alla base del quadro regolatorio del Cio, è stato fortemente criticato perché, in nome dell’inclusività e per evitare casi di stigmatizzazione, finisce inevitabilmente per sottovalutare la portata dei vantaggi fisici strutturali di alcune delle persone inquadrate con un dsd, cioè un disordine dello sviluppo sessuale. È il caso di chi è affetto da un deficit della 5-alpha reduttasi (5-ard) che comporta uno sviluppo fisico tipicamente maschile, con testosterone nella norma, ma senza che la persona riesca a maturare genitali maschili esterni (per via della mancata conversione del testosterone in un androgeno più forte, il dhd). Chi soffre di questa condizione, oltre a essere biologicamente un maschio, presenta vantaggi che non possono essere cancellati neanche da una successiva cura ormonale, come abbiamo spiegato.
I test del dna, inoltre, non sono l’unico step necessario ai fini di una competizione giusta. Nel momento in cui si riconosce il sesso genotipico (xy o xx) dell’atleta, si dovrebbe procedere a valutare l’eventuale presenza di una condizione, come la 5-ard, che dia effettivi vantaggi all’atleta. In altre parole: l’esclusione della gara avverrebbe nel caso in cui l’atleta, oltre ad avere cromosomi xy, avesse anche un dsd che non annulla i vantaggi di un corpo maschile nello sport. Il caso più emblematico in proposito è stato quello di Caster Semenya, che fece ricorso per l’esclusione dalle competizioni femminili. Tra il 2009 e il 2019, Semenya vince due volte le Olimpiadi e tre volte i mondiali negli 800 metri di corsa, conquistando ben trenta vittorie consecutive. L’atleta del Sud Africa venne sospesa ma fece ricorso contro il World Athletics considerando discriminatoria la decisione. Nel 2009 era stata anche sottoposta a un test per identificare il sesso. Sempre nel 2019, però, il ricorso venne rigettato dal tribunale internazionale sportivo, il Cas, e in quell’occasione si legge nella sentenza – pubblica – la spiegazione della condizione di Semenya: 5-ard. I risultati arrivarono grazie a un test genetico e questo costituisce forse uno dei motivi più importanti per sostenere la reintroduzione dei test del dna nelle competizioni professionali come Olimpiadi.