Ne La società aperta e i suoi nemici, uno dei grandi capolavori della filosofia e del liberalismo, Karl Popper scriveva: “Chi ha da dire qualcosa di nuovo e di importante ci tiene a farsi capire. Farà perciò tutto il possibile per scrivere in modo semplice e comprensibile. Niente è più facile dello scrivere difficile”. Chiaramente queste indicazioni non toccano minimamente una matematica candidata allo Strega come Chiara Valerio. A pensarci bene forse, vista l’inclinazione politica, è proprio La società aperta a non riguardarla granché. Sta di fatto che anche la scrittrice è intervenuta sul dibattito intorno al caso Imane Khelif, la pugile algerina accusata variamente di essere transgender (falso), donna con iperandrogenismo (forse), uomo con un disturbo (o differenza) dello sviluppo sessuale (verosimile). Lo ha fatto su Repubblica, casa non della Repubblica delle lettere ma della Patria dei letterati confusi. A voler difendere questo governo e la ministra Eugenia Roccella dovremmo meritarci un posto in paradiso, perché è davvero difficile. Ma Chiara Valerio rende il compito un po’ più semplice, riuscendo a sbagliare almeno quanto i suoi avversari politici. Intanto prova a spiegare il caso Imane Khelif, ma anche la spiegazione di Valerio andrebbe spiegata, perché non si capisce nulla. Partiamo con le accuse al governo. Giorgia Meloni, che si presenta secondo Valerio come l’apologeta dello slogan “ordine e disciplina”, finisce per criticare le regole del Comitato Olimpico Internazionale, contraddicendo i suoi valori. Scrive Valerio: “Dunque, le regole da rispettare sono solo le proprie, giacché quelle del Comitato Olimpico per cui Imane Khelif è nel pieno diritto di partecipare alla competizione femminile non valgono”. Ma Valerio commette lo stesso peccato (diciamolo, veniale) che permette di criticare Giorgia Meloni. Infatti sta dicendo che le regole del Cio debbano essere accettate in quanto regole (argomentazione simile a quella di Laura Boldrini). Allora ci si può chiedere? Se Meloni non può accettare le regole del suo governo senza essere obbligata logicamente ad accettare qualsiasi regola del Cio (in quanto le regole si rispettano e basta), perché Chiara Valerio può accettare le regole del Cio senza essere obbligata ad accettare le regole imposte dal governo (che invece, puntualmente, critica)? Se vi gira la testa abbiate pazienza. Si sta dicendo semplicemente che Valerio accusa Meloni di avere due pesi e due misure, ma la stessa cosa che si può dire di Chiara Valerio, che sulle regole del Cio non vuol sentir ragioni, ma se le regole invece le fa il governo (o l’Iba per esempio) allora sì che si possono criticare. Il filosofo del linguaggio Michael Dummett diceva: “La regola fondamentale della scrittura è che lo scrittore deve prestare attenzione alle sue parole, in modo da lasciare il lettore libero di concentrarsi sui pensieri espressi. Il vostro lettore non dovrebbe mai soffermarsi a considerare quale pensiero viene espresso; se lo fa, avete fallito come scrittore”.
Andiamo avanti. È il momento della compagna (ex compagna, ma non avendo capito quanto sia favorevole al divorzio eviterei il prefisso latino) Eugenia Roccella, colpevole secondo Valerio di almeno tre autogol: “Nella dichiarazione della ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, si possono leggere nell'ordine almeno tre cose. La prima: ancora uno screditamento del Comitato Olimpico («una competizione che di sportivo non ha avuto nulla»)”. Ma questo primo punto dice poco su Roccella (il regolamento del Cio si può criticare; non è un crimine). Piuttosto conferma quanto detto sopra su Chiara Valerio, la vera sostenitrice dello slogan “ordine e disciplina” a fasi alterne, poiché a quanto pare per lei il Cio è davvero intoccabile. Una casta di preti. Il secondo punto ha dell’incomprensibile, però proviamo a tirarne fuori qualcosa: “La seconda: una conferma biologica che spesso la ministra definisce «ideologia gender» in questo caso «un'ideologia che colpisce lei (Carini) e con lei tutte le donne». Come il rispetto delle regole, anche l'ideologia gender è un cavallo di battaglia del governo. Delle regole abbiamo detto, del gender diciamo che è utilizzato per limitare, di fatto, i diritti di cittadini e cittadine. La ministra Roccella stessa usa, tuttavia, il termine «intersex» ammettendo implicitamente così che il gender non è ideologia ma biologia, e di certo statistica”. Il punto, pare di capire, è che Eugenia Roccella avrebbe dimostrato che la teoria gender non è un’ideologia ma biologia, poiché avrebbe usato il termine “intersex”. Ma qui Chiara Valerio fa confusione con le sue stesse idee. Il genere e il sesso sono cose diverse. “Intersex” si riferisce alla sessualità (anzi, in particolare alla differenziazione sessuale), non al genere. Usare “intersex” non significa mostrare che “il genere è biologia”. Troppo difficile? Colpa di Chiara Valerio che mette, in poche righe, troppe opinioni (pure confuse). Normalmente le femministe sostengono che genere e sesso siano cose diverse. Il sesso è la biologia (xx o xy), il genere il costrutto sociale. Per molto tempo genere e sesso coincidevano (se nascevi con genitali maschili, in sostanza, venivi considerato socialmente un uomo). Secondo le femministe questo è sbagliato, perché il genere è un fatto “performativo”, dunque, dipende da come ci si comporta nella società. Se, come dice Chiara Valerio, l’intersessualità fosse la dimostrazione che il genere non è ideologia ma biologia, allora la stessa teoria femminista sarebbe sbagliata. E dunque Chiara Valerio si sarebbe sbagliata, non Eugenia Roccella. Respirate e andiamo al terzo punto: “La terza: rinverdire un luogo comune, Imane Khefil ha «corpo e fisicità maschili» - osserva Roccella - dunque la decisione del Comitato Olimpico pesa meno dell’aspetto fisico. Non chi sei o cosa fai e il tempo per capirlo e accettarlo o allontanarsi, ma come sembri, come ti vesti, et alia. Mi chiedo se questa polemica sarebbe scoppiata se Imane Khelif avesse gareggiato nella ginnastica ritmica, storicamente una disciplina a maggioranza femminile. Forse a quel punto i commenti sarebbero stati sulla mancanza di grazia”. Qui serve l’oracolo, o almeno qualcuno che sappia interpretare i deliri dovuti ai fumi della divinazione. Se quel poco che abbiamo capito ha senso forse potremmo darle ragione: una donna con caratteristiche mascoline non può essere giudicata per il suo aspetto fisico. C’è un ultimo punto, che però non riguarda solo Chiara Valerio ma anche l’esperta intervistata dal Corriere della Sera. Valerio scrive: “Silvia Camporesi, bioeticista ed esperta di scienza ed etica dello sport, dalle pagine del Corriere della Sera, sottolinea che Imane è una persona con «variazioni delle caratteristiche del sesso», si stima che le persone con variazione delle caratteristiche del sesso siano tra 0,0018 e il 1,7% della popolazione. Camporesi sottolinea pure che le donne sottoposte a questo tipo di test vengano tutte dal Sud del mondo. E spera sia un caso. E anche io”. In realtà prima di gridare al razzismo e al colonialismo (come fatto, tra l’altro, anche su La Stampa) ci si potrebbe chiedere un’altra cosa: nei Paesi del Sud del mondo viene riconosciuta la condizione di intersessualità? Quante diagnosi sbagliate di disturbi dello sviluppo sessuale (Dsd) vengono fatte? Uno dei Dsd che potrebbe riguardare Imane Khelif ha un nome complicato e non vale la pena di spiegarlo qui: si chiama deficit della 5-alpha reduttasi (5-Ard). Normalmente la diagnosi viene sbagliata nei neonati perché esteriormente sembrano donne ma sono uomini (xy) con una disfunzione. A Chiara Valerio non sorge il dubbio che forse i test vengono effettuati su quelle persone provenienti da Paesi in cui la diagnosi viene fatta poco e male, magari Paesi dove lo stato di queste persone non viene riconosciuto (come in Algeria)? Se è vero, come scrive alla fine Chiara Valerio, che tutti piangono, gli eroi greci come gli atleti, è altrettanto vero che a volte è la ragione a piangere. Ma, purtroppo, questo non fa più notizia.