Raggiungo Stefano Rizzato in uno dei suoi rari giorni di ferie, mentre aspetta di ripartire per Tokyo dove seguirà anche le Paralimpiadi. Mi confessa che quest’anno raggiungerà 200 giorni di trasferte lavorative. Un punto in comune per rompere il ghiaccio con i ciclisti, dice sorridendo. Lui il ciclismo ha il piacere (e la responsabilità) di seguirlo da vicino, anzi da vicinissimo. Dalla cosiddetta moto-cronaca, nella pancia del gruppo dove succede tutto in pochi istanti e dove in pochi istanti devi capire insieme al tuo pilota cosa fare (o non fare).
Mi affascinano da sempre i giornalisti in moto al seguito del Giro d’Italia. Si tratta di figure che si fondono con altre storie, con la strada. Che tra polvere e asfalto hanno il privilegio di sapere prima di tutti cosa succederà e di osservare – senza l’ansia della prestazione agonistica – il Paese scorrere davanti ai loro occhi. Il Giro per molti è una festa ed è vero, ma è anche un trattato di sociologia che unisce centri storici e strade di provincia desolate; capire il Giro significa capire l’Italia e dalla sella di una moto tutto diventa più autentico. Rizzato è un giornalista di Rai Sport e di recente ha collaborato con il collettivo di scrittura Bidon (o piccola officina di paese come si autodefiniscono) e nell’ultimo libro (Via di fuga - People) ha raccontato la sua esperienza in moto al seguito del Giro 2020. Proprio da qui parte la nostra chiacchierata.
Hai seguito gli ultimi due Giri d’Italia sulla moto cronaca della Rai. Praticamente hai vissuto in un mondo a parte che spesso sfugge a chi segue il ciclismo in televisione.
Il Giro d’Italia è una grande macchina in movimento e tutto al suo interno ha delle regole e dei codici. Il primo consiglio che viene dato a un novellino come ero io nel Giro del 2020 è quello di seguire in modo rigoroso le indicazioni dei regolatori di corsa. Si tratta di ex ciclisti che mettono a disposizione la loro esperienza per gestire gli spostamenti di tutti i mezzi che seguono la gara.
E si tratta di tanti mezzi…
Tantissimi. Il primo impatto è quello del traffico di una media città nell’ora di punta. Per ogni squadra ci sono due ammiraglie in corsa più una terza che si muove per gestire i rifornimenti. Poi ci sono le moto dei fotografi, almeno una decina, poi quattro o cinque moto ripresa, le moto dell’assistenza tecnica neutrale, quelle moto dei regolatori, l’auto dell’assistenza medica, quelle della giuria… e poi ci siamo noi. La moto del cronista si muove costantemente a pochi centimetri da tutti questi altri veicoli e questa è la prima cosa che si nota.
Come è stato il primo impatto?
Che si tratta di un movimento di mezzi caotico, ma al tempo stesso organizzato di cui la moto cronaca è una parte integrante, ma che al contrario degli altri mezzi deve restare defilata.
In che senso?
Tutti gli altri mezzi hanno un ruolo che impatta sulla gara, mentre noi siamo lì solo per osservare e raccontare. Capita spesso quindi che ci venga chiesto di fare uno o due passi indietro rispetto all’azione.
Possiamo dire che tra riprese e cronaca… “il team motociclistico Rai” sia un’eccellenza?
La squadra dei motociclisti della Rai è speciale perché sono persone che di professione non fanno i motociclisti, ma sono specializzati in altro. Tecnici di studio, di ripresa… fanno altri lavori per undici mesi l’anno e poi a maggio c’è questa squadra che si crea per il Giro con persone che mettono a disposizione il proprio talento. Quella della Rai per il Giro è una produzione che non smette di affascinarmi, innanzitutto per le riprese in movimento che sono fondamentali e sono anche un capolavoro da un punto di vista dell’impegno fisico e tecnico. Basta fare confronti con le immagini in movimento di altre gare per capire quanto sia di livello il lavoro Rai.
Quanto conta il rapporto che si crea col pilota?
È fondamentale, ma la chimica con il motociclista non è difficile. È un gruppo molto positivo ed entusiasta nell’approccio al lavoro. Con Giuseppe Marino che è il motociclista che mi accompagna più spesso siamo coetanei ed è stato facile trovare una bella intesa. Ma anche con gli altri è sempre bello andare in giro e anche scoprire gli stili di guida di ognuno. Ci sono i piloti appassionati di ciclismo che amano commentare quello che succede, altri che invece vogliono chiacchierare di cose personali, poi a maggio te lo confesso eravamo presi dal fantacalcio… e molte chiacchierate in attesa di entrare nel vivo della corsa erano incentrate su quello.
Mi sono sempre chiesto cosa succede alla moto della Rai se commette qualche irregolarità durante una tappa…
Ogni giorno viene emesso un comunicato della giuria. Riguarda i ciclisti, ma anche le moto e le ammiraglie. Chi non rispetta le regole e le indicazioni può essere squalificato o ricevere delle multe. Ma la preoccupazione non è tanto la sanzione quanto il rischio di rovinare il rapporto con la giuria e i regolatori che si basa sul rispetto. Quando penso di aver fatto qualcosa che la giuria può aver interpretato in modo sbagliato mi preoccupo perché conosco Marco Velo, Palo Longo Borghini, Enrico Gasparotto e Enrico Barbin che sono i quattro regolatori attuali del Giro e mi preoccupo perché non mi vedano come uno che vuole violare le regole.
Capita a volte di trovarsi con la moto fuori dai giochi.
Lo racconto nel libro. Ci sono situazioni come la tappa di Tortoreto del 2020 dove capita di trovarsi in posizioni pessime per chi fa il mio lavoro e cioè davanti a tutti.
Praticamente vai in fuga!
A volte capita - quando ci sono margini troppo ristretti tra i vari gruppi in corsa - che la giuria ti mandi davanti, ma a quel punto non vedi più nulla e smetti di lavorare e quindi di raccontare. Esci dalla corsa e per reinserirsi bisogna inventarsi qualcosa, sempre partendo dal presupposto di non dover creare pericoli per nessuno cerchiamo sguardi di regolatori e giuria che ci diano un ok, ci si confronta col motociclista e si tenta.
Con la moto cronaca sei nella pancia del gruppo e la pancia è il luogo delle emozioni…
La visione a 360 gradi che si ha nel gruppo è impagabile e permette di capire molto di più delle dinamiche di corsa. Una palestra utilissima per tanti che si occupano di ciclismo per osservare più da vicino la durezza di questo sport. Da una postazione di commento tutto è più bidimensionale, ma da dentro impari ad avere rispetto e ammirazione per chi fa questo sport. Poi ci sono anche momenti più leggeri come quando ti volti e non trovi più nessuno perché tutti i ciclisti si sono fermati a bordo strada per fare pipì.
C’è un momento dell’ultimo Giro che ti è rimasto nel cuore?
Un episodio che riguarda un altro autore del libro che è anche un corridore, Alessandro De Marchi. Nella tappa in cui ha preso la maglia rosa – quella che arrivava a Sestola - aveva avuto un problema meccanico mentre era in fuga. Cercando di rientrare in gioco ha sorpassato la mia moto e nel suo sguardo ho visto il fuoco. Capii che stava per fare qualcosa di grosso. E così ci siamo ritrovati in due autori del libro nel posto dove si celebra la maglia rosa. Fu un momento molto intenso.
Nel libro racconti di Zavoli e delle sue interviste in corsa che oggi non si possono più fare… immagino che a volte ti venga voglia di allungare il microfono e chiedere qualcosa. Che domanda faresti?
I maestri e i grandi pionieri del racconto giornalistico non si possono imitare, sarebbe irrispettoso fare la stessa cosa fatta da Zavoli a prescindere dal regolamento che oggi non lo consente. Allora ti rispondo che farei un omaggio e in quel caso la domanda sarebbe la stessa di Zavoli: Ma chi te lo fa fare? Davvero pensi che il mestiere di ciclista sia più sicuro di quello di muratore? Sarebbe bello conoscere la risposta moderna a una domanda “storica”.
Sarai di nuovo a Tokyo stavolta per le Paralimpiadi. Cosa ti aspetti?
Si tratta della mia prima paralimpiade. Siamo in un momento importante del racconto del paralimpico in cui abbiamo capito che si deve superare la narrazione pietista dell’atleta ed è il momento giusto per fare un passo in più.
Ad esempio?
Dobbiamo raccontare la grandezza di questi atleti a prescindere dalla loro disabilità. Non mi interessa come sono diventati atleti disabili, ma piuttosto le storie delle loro famiglie, cosa sognano, quali motivazioni mettono negli allenamenti. Mi interessa la loro condizione di atleti perché sono tra i migliori e si scontrano nel più grande dei palcoscenici possibili. Voglio raccontare quanto sia difficile spingere una handbike, quanto sia Sport con la maiuscola e poi raccontare le storie personali.
Quali discipline seguirai?
Il paraciclismo e sarà emozionante raccontare l’assenza e al tempo stesso l’ispirazione di Alex Zanardi, che sarà il vero filo conduttore e il motore di tutta la spedizione paralimpica. E in particolare di quella del paraciclismo, una squadra che è diventata altro da quando Vittorio Podestà ha convinto Zanardi a provare una handbike. Un onore poterlo raccontare con il pensiero ad Alex e con la voglia di mostrare che è ciclismo vero e che il prefisso para racconta orami poco.