Oggi è il “venerdì santo” delle road race: il giorno in cui se ne è andato Joey Dunlop. Era il 2 luglio del 2000, infatti, quando a Tallin, mentre era in testa alla gara e dopo averne vinte già due delle altre categorie, il re delle corse su strada ha perso il controllo della sua 125, mettendo fine, a 48 anni, ad una carriera e ad una storia immense. E meritando un monumento sull’Isola che è stata il suo regno. Uno di quei monumenti con cui, in tempi di statue abbattute e vandalizzate, non se la prenderà nessuno. Sono vent’anni oggi che Joey Dunlop non c’è più.
Il re della giostra, the king of the road, ha vinto 5 Tourist Trophy (il sesto glielo ha soffiato Virginio Ferrari) e per 162 volte è arrivato al traguardo prima di tutti in gare su strada: 26 al TT (la prima nel 1977, l’ultima nel 2000), 24 all’ Ullster Grand Prix, 13 alla North West 200, con 11 partecipazioni a gare del Motomondiale dal 1976 al 1992 e 6 partecipazioni a gare del Mondiale Superbike, nel 1988.Insomma, uno che mangiava pane e rischio. Uno di poche parole, capace di esprimersi solo con il gas in mano e con gli slanci di un cuore grande (come si è scoperto dopo la sua morte). Uno che dopo quel 2 luglio del 2000 ha fatto fermare, primo nella storia, i conflitti in Irlanda del Nord. E non è una cosa da poco. Perché a far dichiarare un Giorno di Pace Nazionale non c’era riuscito ancora nessuno: Joey Dunlop è stato il primo e l’unico dopo un secolo di conflitti senza sosta. Cinque anni fa i lettori del Belfast Telegraph lo hanno votato come il più grande sportivo nella storia dell’Irlanda del Nord. Ancora prima aveva ricevuto il titolo di Membro dell’Impero Britannico e poi quello di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico.
Un grande sportivo. Ma anche un uomo capace di vestire d’umanità il suo talento. Di quanta solidarietà e generosità sia stato artefice Joey Dunlop, infatti, si è scoperto solo dopo la sua morte, con la notizia diffusa di interi carichi di cibo e vestiario per quelle popolazioni dell’Est Europa che, ai tempi doro delle corse su strada, pativano la fame. Insomma, giù dalle moto un eroe della quiete. Un eroe che quando non vestiva l’armatura di pelle dei cavalieri dell’Isola lavorava in maniche di camicia tra i tavolini - immerso nella poca luce di una fila di lampade basse e nell’odore di malto e di fritto - nel suo i Joey’s bar di Ballymoney. Poi, ogni tanto, spesso, saliva su quella che era a tutti gli effetti la sua nave dei folli, il suo team, l’Armoy Armada, per aggredire l’asfalto con ogni tipo di motocicletta, vincendo praticamente tutte le principali gare su strada del mondo con un casco giallo a righe nere divenuto simbolo inconfondibile di coraggio e passione per la velocità.