Intervista del settembre 2008, da Motorcycle Rockstar
Blackburn, 105 mila abitanti secondo Wikipedia, a mezzora d’auto da Manchester, è una città storica, tra le più importanti del Lancashire. Ma le uniche persone che si vedono in centro il giovedì sera sono arabe. La biondina dietro al bancone del pub non cerca scuse: «Blackburn è morta». Il Lancashire assomiglia alla Toscana, tante colline e tanto verde, solo che su quelle colline e su quel verde ci sono molte meno case. Carl Fogarty è nato e cresciuto qui. Qui è sempre tornato dopo ognuna delle sue vittorie in SBK, qui ha ritrovato la forza e la voglia di battere tutto e tutti in uno di quei pochi periodi di buio che hanno attraversato la sua carriera e qui abita adesso, in Saccary Lane, una zona di ville da Beverly Hills e berline lucidissime. Non male per uno che è partito dalla working class area di Blackburn, il quartiere operaio della città. Foggy è il mito, il Re, l’eroe. Come lui nessuno
mai, ma sarebbe meglio dire: prima di lui nessuno mai. Nico Cereghini sostiene: «Come buttava giù la moto Carl Fogarty, nessuno lo aveva mai fatto; come la tirava su di forza neppure. Pareva che dovesse spezzare il manubrio. Molto più che una guida muscolare, una guida violenta addirittura, diventata l’immagine Ducati più vera». Rivedere le sue immagini su YouTube è impressionante: corpo scomposto fuori dalla moto per impostare la curva, collo tirato su, giugulare che quasi esplode e sguardo già direzionato al prossimo tornante. E soprattutto gli occhi oltre la visiera. Occhi da pazzo.
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Le uniche cose che lo fanno impazzire
Gli occhi sono la prima cosa che si notano quando apre la porta della sua villa. Anche se per poco, perché li abbassa subito. Fogarty è sempre stato così: sfrontato sulla moto, più timido nella vita. Non a caso, durante la giornata che abbiamo passato insieme, ha cambiato modo di fare, espressione, insomma praticamente “impazzito” solo due volte: quando siamo andati a mangiare in un pub ed è arrivata l’insalata di pollo, e al momento di accendere la moto da cross, una KTM 250 SXF. L’insalata di pollo l’ha polverizzata in un nanosecondo, buttando tra le piante l’uva e le fragole che ornavano il piatto e che evidentemente non gradiva, per poi stravaccarsi sulla sedia usando le sue unghie come stuzzicadenti. Appena messa in moto la KTM, invece, ha detto: «Torno subito». Poi è partito tra i campi intorno alla casa impennando,sgommando e facendo traversi per cinque minuti buoni. A tratti ne abbiamo sentito solo il rumore. Una volta sfogato è tornato disponibile e accogliente come lo è stato per tutta la giornata. La cosa buffa è che quando ha acceso la moto anche uno dei suoi due Jack Russell (ha anche un Dobermann) ha cominciato a corrergli intorno e ad abbaiare ininterrottamente. Fogarty ci ha riso su: «Anche lui ne esce pazzo». Un’altra cosa che ci ha stupito è abbastanza imbarazzante da spiegare: durante il servizio fotografico si è assentato due volte per bisogni fisiologici. Solo che non è andato a fare la pipì nel suo bagno, anche se per arrivarci bastava fare pochi passi. È andato vicino a un cespuglio, appena fuori la porta di casa. Segno che Fogarty è sempre lo stesso: non si è fatto abbindolare dal lusso e dalle buone maniere dell’alta borghesia inglese. Era un ragazzo di strada e un ragazzo di strada è rimasto. I conti, insomma, cominciano a tornare.
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In cucina con Michaela
Quando siamo arrivati aveva una maglietta senza maniche e jeans strappati. Ci ha fatto fare un giro al piano terra della casa: stanze spaziose, muri bianchi, divani neri, poster dei Sex Pistols e arredamento minimal. All’ingresso la Ducati 996 numero 2 del 1998. Con questa vinse il suo terzo campionato del mondo. È ferma da dieci anni ed è in perfette condizioni. Poco più in là il suo ufficio, detto anche la stanza dei trofei, dove la sua scrivania e il suo computer sono circondati da tutte le coppe che ha vinto in carriera. Tre ripiani completamente pieni. Unico neo della casa? Il bagno a piano terra. Sì, ecco, diciamo che... Insomma: il water non era proprio pulitissimo. Ma mettiamola così: deve essere stata una svista della donna di servizio. Tornati in cucina appare Michaela Bond, la donna della sua vita. Sempre al suo fianco. Di lei, gli appassionati di moto ricordano sicuramente la bellezza, il fascino. Be’, è sempre così. Energica, grintosa, scherza, ride, urla. Michaela è più pazza di Carl, senza dubbio. Con loro c’era anche la prima figlia, Danielle, che adesso ha 18 anni ed è veramente carina. Insieme stavano preparando una
specialità creola, un piatto piccante di carne e verdure, la Jambalaya: Danielle tagliava i peperoni, Michaela si occupava del salame, Carl spargeva il pepe rosso sul pollo. Il ritratto perfetto della felicità: mancava solo Claudia, la seconda figlia, altrimenti avremmo avuto davanti la Foggy family al completo. Carl ci saluta e ci diamo appuntamento per il giorno dopo, per le foto e l’intervista.
Le giornate e i ricordi di Foggy
Il giorno dopo il look di Carl è lo stesso: jeans strappati e una maglietta con una donna in bikini che vomita e una cicatrice sulla fronte. Ride: «L’ho comprata in Italia, a Misano». Inizia l’intervista.
Chi è Fogarty adesso?
«Un uomo che ha raggiunto i suoi obiettivi e che è felice di fare quello che vuole in ogni momento della sua vita».
Ecco, cosa fai?
«Faccio cross con gli amici, forse nel 2009 torno a gareggiare. Oppure esco in mare a pescare, vado in vacanza a Marbella, faccio beneficenza, presenzio agli eventi Ducati, vado a vedere la SBK quando passa da Brands Hatch, vado all’Isola di Man. Mi godo la famiglia, la casa. Questa però voglio venderla, voglio andare a vivere sul mare».
Che tipo di padre sei?
«Più amico che papà. Sono abbastanza aperto, d’altronde nella testa e nel corpo sono un ventunenne. Le mie figlie con me e Michaela possono parlare di tutto, no problem».
E con Michaela come va?
«Benissimo, stiamo insieme dall’87, ci siamo sposati nel 91. Lei è così forte, così meravigliosa, era quasi come un ragazzo: beveva, gli piacevano le moto e aveva un carattere deciso, l’ideale per stare con me. È lei il boss della casa»
In Foggy, la sua biografia uscita in Inghilterra (Collins Willow), Carl non risparmia particolari. Michaela era un’amica di sua sorella, Georgina. Da piccoli si frequentavano, Michaela era la vittima preferita degli scherzi di Carl, poi si persero di vista. Anni dopo si sono rincontrati in un pub, the Woodlands. Finirono a letto la sera dopo. «Non fu memorabile» spiega Carl. «Ero ancora in convalescenza dopo un infortunio alla gamba. Lei dice che durai 30 secondi!». I dettagli piccanti non finiscono qui. «Una sera giocavamo a Trivial Pursuit» racconta ancora nel libro. «Eravamo due coppie. Chi sbagliava beveva un cocktail orribile. Lei a un certo punto non ce la faceva più e si rifiutò di andare avanti. Introducemmo allora una penitenza, se sbagliava ancora doveva avere un... rapporto orale con me. E così fece, sotto al tavolo. Poi vomitò. Ma per i troppi drink... ». Quando ricordiamo l’aneddoto preferisce ridere e non commentare. Come dicevamo: sfrontato sulla moto, timido nella vita. Tra l’altro, le moto fuori dalla pista non le ha mai amate. «Adesso però è arrivato il momento di comprarne una da strada» rivela.
Quale?
«Chiamerò la Ducati e gli dirò: “Do you remember me? Ho vinto quattro titoli mondiali con voi, vi ricordate? Mi date una moto? Una Hypermotard, please... Non l’ho mai vista, mi sono eccitato solo guardandola in foto».
Segui la Superbike?
«No. Credo che sia perché non posso più correre. Vedere le gare è una tortura. I miei amici mi informano».
Perché dopo il ritiro non hai provato con le auto da corsa?
«Una volta ho provato un’Alfa Romeo: dieci giri a Donington. A un certo punto ho cercato la radio per sentire un po’ di musica... È noioso».
Ti mancano le gare?
«La gente mi chiede se mi manca il ginocchio fuori in curva o il fatto di andare a 200 all’ora, ma io non mi divertivo a correre. Mi divertivo a vincere. Vincere è stata la storia della mia vita».
La stagione più bella?
«Il 1995 o il 1999. In quegli anni stavo troppo bene, la moto era a posto. Nessuno avrebbe potuto battermi».
La migliore gara?
«A Monza nel 99, quando ho vinto entrambe le manche battendo Colin Edwards. La doppietta a Brands Hatch nel 95. Oppure le ultime gare del 94 e del 98, quando ho vinto i titoli in Australia e in Giappone».
La peggiore?
«L’ultima. Non ricordo niente. Mi sono svegliato in ospedale».
Ti sei sempre definito il pilota britannico più forte di sempre.
«Il più forte non lo so. Uno dei migliori sicuramente. Barry Sheene mi piaceva molto, era un provocatore, diceva sempre quello che pensava, come me. Ma era famoso più perché arrivava da Londra, per la bella faccia e le belle donne che gli ronzavano intorno che per quello che faceva in pista. Mike Hailwood, invece, è stato unico. Se pensi che è stato dieci anni fermo, poi è tornato al TT e ha vinto... Incredibile».
Anche tu sei tornato all’Isola di Man quest’anno.
«Ma solo per un giro dimostrativo con la Desmosedici. Va più forte lei di questa qua (indica la 996 del 98). Ho avuto sensazioni strane perché mentre correvo la mia mente diceva: “Come on Carl, torna a vincere, puoi vincere ancora”. Ma dopo un po’ ho pensato: “Torna a casa da Michaela e stai calmo...”».
Gli anni 90 sono stati dominati da te in SBK e da Mick Doohan in MotoGP...
«Una delle prime volte che ho corso come wild card in MotoGP lui si incazzò per il mio modo di guidare. Ai box mi urlò contro: fu divertente. A parte questo dettaglio, lui per me è stato un esempio di motivazione e costanza. Vinceva il campionato, poi lo rivinceva, lo rivinceva ancora e ancora... L’ha vinto per cinque volte di fila. Nel 98 mi ispirai a lui: la mia testa non era a posto, non avevo la fame necessaria per vincere. Guardai lui e pensai: fuck, è così che si fa».
Parliamo di altri grandi: Kenny Roberts.
«È il mio eroe. Non aveva un buon carattere, ma i bravi ragazzi non vincono mai. L’unica eccezione è Valentino Rossi».
Arriviamo a oggi: Max Biaggi.
«È stato fantastico per molti anni, forse avrebbe potuto vincere di più. Lui mi piace. Prima era come me: o lo amavi o lo odiavi. Ma forse adesso è diventato simpatico e quindi non è più veloce, visto che i bravi ragazzi non vincono...».
Nori Haga.
«Era molto veloce ma incostante dieci anni fa, è veloce ma incostante adesso. Non impara mai».
Casey Stoner.
«Chi vince ha sempre ragione. Ma non posso dire altro. Non so nemmeno che faccia abbia. Se Stoner passasse di qua non lo riconoscerei. Mi dicono che sia aggressivo e che guida in modo simile al mio: o tutto aperto o tutto chiuso».
Troy Bayliss.
«L’unico che mi assomiglia. Sulla moto si muove come mi muovevo io. Forse io ero più veloce in curva, lui più pulito nell’inserimento».
Potrebbe raggiungere il tuo record: 16 doppiette.
«Ho fatto 16 doppiette? Io? Vabbe’, pazienza».
E tutta questa elettronica nella moto che va di moda oggi: a favore o contro?
«Oggi è più facile, ma allo stesso tempo c’è più sicurezza. Per me è difficile immaginare cosa voglia dire aprire al massimo il gas in curva senza cadere. Se lo facevo erano problemi...».
Ultima curva: chi non avresti mai voluto dietro?
«Quando correvo Giancarlo Falappa. Ci provava sempre, anche nei punti più incredibili: dove gli altri staccavano, lui dava gas. Era pericolosissimo. Oggi non vorrei mai dietro Valentino Rossi».
Chi è stato il tuo miglior nemico?
«Scott Russell. Non ci sopportavamo e il primo anno di SBK, nel 93, mi ha battuto».
Stop. Rewind. Torniamo al 1998. Quell’anno anche Chili guidava una Ducati ufficiale.
Anche lui avrebbe potuto vincere il mondiale. Penultima gara, circuito olandese di Assen. Nella prima manche Fogarty gli arriva dietro. Nella seconda King Carl non ci sta: «Ero determinatissimo» dice Fogarty. «Lui mi passa quasi alla fine dell’ultimo giro, io sapevo di essere più forte alla chicane. E lì mi riportai davanti». Chili cade. E a fine gara, in accappatoio, si scatena: va incontro a Fogarty. Lo accusa di essere responsabile della sua caduta, Fogarty reagisce, arrivano alle mani. «Per un anno non ci siamo più parlati» ricorda Carl. «Poi a Donington, nel 99, venne da me e mi disse: “Dai, ho fatto un errore, dimentichiamoci di quello che è successo”. Adesso quando ci vediamo ci abbracciamo e piangiamo. Chili mi è sempre piaciuto. È molto emotivo e aggressivo, come me. Quando aveva la moto a posto, non lo tenevi. Era velocissimo».
Nella sua Porsche 997
Pausa pranzo. Andiamo in un pub a dieci minuti d’auto dalla casa. Fogarty oltre alla KTM ha un quad Suzuki, una beach buggy regalatogli per il quarantesimo compleanno, un Mercedes Vito, una BMW cabrio e una Porsche 997 targata FOG6Y. A giorni dovrebbe ricevere una BMW MSport e ha appena restituito una Porsche Cayenne («Beveva troppo»). Saliamo sulla 997. All’orecchio sinistro di Carl brilla l’orecchino numero 1, al polso ha un Rolex, la radio è sintonizzata su Rock FM.
Da proprietario del team Petronas non hai lasciato il segno. Come mai?
«Moto e motore non erano all’altezza».
Meglio essere proprietario di un team o pilota?
«Pilota, il proprietario del team deve avere tutto sotto controllo. E la soddisfazione di vincere una gara come pilota non ha paragoni».
Se ti proponessero di rifarlo?
«Se mi chiamassero Ducati o Honda e mi dicessero “Carl, ti diamo un team, ci sono sia gli sponsor sia i soldi per vincere un campionato” risponderei: “Sì, subito”».
Meglio una notte di sesso sfrenato oppure battere un avversario che odi?
«Oh God! Meglio battere un avversario che odio. Ma non ditelo a Michaela... »
Credi in Dio?
«No. Però sono superstizioso, quando correvo dovevo sempre avere qualcosa di verde addosso».
Che rapporto hai con la morte?
«Non me ne frega niente, non ne sono impaurito. È sempre stata intorno a me».
A pranzo con il mito
Oltre all’insalata di pollo ordina una Coca light, poi una Corona con limone.
Cosa sarebbe successo se non fossi andato via dalla Ducati?
«Avrei vinto anche nel 96 e nel 97».
Senza la Ducati avresti vinto così tanto?
«Chi può dirlo? Di sicuro avrei vinto anche con la Honda, come è capitato a Colin Edwards e James Toseland, ma non so se di più o di meno».
Quanto hai guadagnato con le corse?
«Abbastanza per avere una bella vita, belle auto e comprarmi belle case. Ne ho appena venduta una in Spagna, ora vorrei comprarla in Italia: alle Cinque Terre. Oppure in Sardegna».
Finisci queste frasi. La vita...
«È tutto».
La morte...
«Arriva per chiunque, prima o poi».
La vittoria...
«La miglior cosa al mondo».
Con quante donne hai dormito?
«Non abbastanza» (ride).
Vorresti essere ricordato come un mito, una leggenda, un’icona o cosa... ?
«Leggenda suona bene. Sì, suona proprio bene».
Carl Fogarty tra dieci anni.
«Un uomo che si gode la vita alle Cinque Terre o a Maiorca».
Cosa vorresti che ci fosse scritto sulla tua tomba?
«Qui giace il più grande motociclista di tutti i tempi, Carl Fogarty».