Johann Zarco che recupera mezzo secondo a giro, arriva sotto a Pecco Bagnaia e poi lo attacca in maniera aggressiva. E’ così che poteva andare e è così che non è andata. Perché Johann Zarco un vero attacco a Pecco Bagnaia non lo ha sferrato. Perché non gli è sembrato il caso? Oppure perché non ce l’ha fatta? Due domande che probabilmente ci faremo all’infinito, ma che altrettanto probabilmente non servono a altro se non ad alimentare il solito chiacchiericcio. Quello che fa seguito al suono dei motori e, come nel caso di oggi, a una gara che è stata bellissima e pazzesca. Sarebbe dovuto bastare, invece si sta qua a chiederti cosa ha fatto Zarco. Di sicuro sappiamo quello che non ha fatto: non ha portato l’attacco. E se c’avesse provato in quanti sarebbero stati a dire robe tipo “ecco, i soliti francesi che si aiutano tra di loro e bla bla bla”.
Basta buttare l’occhio a Misano o a Aragon per rendersi conto che qualunque scelta faccia un pilota, poi ci sarà chi ci vede antisportività, giochi di squadra, fantomatiche dietrologie che magari possono avere pure un minimo di fondamento, ma che non aggiungono assolutamente niente allo spettacolo. E che, peggio ancora, lo fanno passare per finto. Ma davvero quando ci si gioca la pelle si riesce a pensare alla finzione? In Ducati lo hanno detto e ribadito: “nessun gioco di squadra fino a quando i nostri piloti saranno in corsa per il mondiale”. Vero o non vero è la versione ufficiale. E dobbiamo crederci. Anche perché, andando a guardare la classifica, ci accorgiamo che Jack Miller sta lì, Enea Bastianini pure e per Ducati non c’è solo Pecco Bagnaia a giocarsi il titolo, vista anche la moto con cui Fabio Quartararo deve fare i conti.
Il problema, semmai, è che si va sempre a pensare a ordini superiori. A decisioni prese a tavolino e questo è non portare rispetto ai piloti. Pensare che non abbiano un cervello, supporre che ormai corrono senza emozioni e senza il cuore. Dimenticare, quindi, che sono esseri umani. Zarco oggi in Thailandia è stato braccino? Probabilmente sì, ma perché andare a dare per scontato un qualche dettame piovuto dall’alto? Magari Johann Zarco s’è semplicemente fatto due conti in testa come ce li facciamo tutti davanti a ogni scelta della nostra vita. E’ andato di assiologia, di “se allora” e magari ha deciso che sarebbe stato meglio (per lui e non per Ducati, per Pecco o per chissà quale setta segreta che governa la MotoGP) guardare le spalle a Pecco e non rischiare di stenderlo e di stendersi. Aveva fatto un garone fin lì, Zarco, le sue gomme cominciavano a mostrare i segni del rimontone e s’è accontentato. Magari pensando che mettere le ruote davanti a Marquez potrebbe dare la stessa goduria di un podio. E allora? Dove sta l’antisportività?
L’antisportività, probabilmente, sta più nel modo di guardare le corse, ormai, che nelle corse stesse. E’ vero, Valentino Rossi ha smesso, i personaggi sono meno spinti di quelli di una volta e molto più omologati alla noia del politicamente corretto. E’ vero pure che le regole (molte delle quali, però, in nome della sicurezza) hanno smorzato un po’ quell’odore di morte che magari ha reso affascinante il motorsport, però quando lo spettacolo c’è finiamo per rompere la balls lo stesso. Come oggi, quando al termine di un GP che è stato una figata pazzesca, il tema del giorno è diventato chiedersi se Zarco ha dovuto rispettare ordini di scuderia e imposizioni aziendali. No, Zarco s’è semplicemente fatto due conti in testa e ha fatto la cosa giusta. Che non è la cosa giusta in termini assoluti (visto che i termini assoluti non esistono), ma la cosa giusta per lui. Non sarà che il dramma della MotoGP sta nel pubblico della MotoGP? Dovremmo chiedercelo onestamente, tutti quanti. Perché uno spettacolo in cui gli occhi degli spettatori sono sempre concentrati nel dietro le quinte è uno spettacolo che i veri protagonisti, quelli che stanno sul palcoscenico, non riusciranno mai a rendere accattivante. Anche quando, come oggi, scenografia e trama sono perfette.