Jorge Lorenzo non ha smesso di andare alle corse. Era a Valencia per l’addio di Valentino, in Qatar per la prima senza di lui e anche al Mugello per tutti i quattro giorni del weekend di gara. Lo incontriamo nel paddock il giovedì, nell’hospitality del team Pramac, e gli chiediamo un’intervista. Ci lascia il numero di “Carla di Dorna” per fissare un incontro, ma suona più come una maniera per renderlo irrealizzabile. Il giorno dopo una scena simile: Carla non ti ha risposto? Prova lui. Altro contatto, altro no. Il sabato però, la terza volta, il numero che ci lascia è il suo: scrivimi che troviamo un modo. A fine GP, mentre i meccanici stanno smontando le hospitality, riusciamo a raggiungerlo, lo troviamo seduto su di un muretto con degli occhiali specchiati e la sua assistente a fianco. Fa i complimenti Pietro Bagnaia, scambia due parole con Alberto Puig, chiacchiera con un uomo Suzuki. È Jorge Lorenzo, uno che ha vinto cinque mondiali e che in un modo o nell’altro non si toglierà mai le corse di dosso. Come Loris Capirossi, ormai uomo Dorna, o tanti altri che dopo una vita a dare gas in giro per il mondo non sono riusciti a lasciare il paddock. Quando Marc Marquez è uscito dalla conferenza stampa del Mugello, in cui ha annunciato che si sarebbe sottoposto alla quarta operazione, ad aspettarlo c’era con il microfono in mano c'era Jorge. Ha fatto un paio di domande, l’ha soprattutto incoraggiato. E a noi, il giorno dopo, ha detto che se potesse prendere un pilota prenderebbe proprio Marc Marquez.
Per te il ritiro è stata un po’ una liberazione, una delle cose più belle dopo i cinque titoli mondiali?
“Si, una liberazione perché riesco a godermi altre cose nella vita. Chiaramente mi sarebbe piaciuto ritirarmi in un altro modo, non con questa interruzione della mia carriera dopo la caduta di Assen, quando mi sono fatto male alle vertebre e ho deciso di mollare. Senza quell’incidente la mia carriera sarebbe stata molto più lunga”.
Però non hai avuto una lunga parabola discendente come è successo, per esempio, a Valentino.
“Alla fine ho corso solo un anno senza essere competitivo ed era l’ultimo della mia carriera. Dal 2008, quando ho debutto nella massima categoria, sono sempre stato davanti”.
Che effetto fa trovarsi a fare il giornalista in mezzo ai piloti dopo tanti anni in cui il pilota eri tu?
“È strano, è qualcosa a cui mi devo ancora abituare. Ma non così strano come se dovessi parlare di qualcosa che non capisco. Ho fatto trent’anni di questo sport e lo capisco alla perfezione, parlarne mi viene naturale”.
Hai fatto #99Seconds, i commenti tecnici: ti appassiona, no?
“Essere un grande sportivo non vuol dire essere un grande comunicatore, sono cose completamente diverse. Quando ero molto piccolo mio padre mi faceva praticare le interviste con una telecamera, pensava che il rapporto con i giornalisti fosse importante. Io ho avuto un carattere particolare, speciale insomma, però adesso che sono più tranquillo e con molta meno pressione penso di poter comunicare meglio. Ora provo ad essere il più neutrale possibile e ho un grande rispetto per tutti i piloti, dall’ultimo al primo, perché si giocano la vita e sono i migliori del mondo. E così provo a dire la verità, la mia verità”.
La gente ti ama sempre di più: ti fermano per una foto, per un abbraccio. Te lo saresti aspettato?
“Evidentemente è impossibile piacere a tutto il mondo, però mi piace stare con le persone. Certo che quando correvo ero molto freddo, serio. Questo la gente lo sentiva, ma io ho due personalità: una ultra concentrata e un’altra, quando sono rilassato, in cui faccio festa con gli amici e sono quasi l’opposto”.
Pensi che Marc Marquez potrà mai vincere il 9° mondiale?
“Se l’operazione gli va bene e si trova a posto fisicamente di sicuro”.
Trent’anni però non sono pochi.
“Il tempo passa per tutti e i giovani hanno voglia, però trent'anni non sono tanti e stiamo parlando pur sempre di un fenomeno. Lui fisicamente era una bestia e non ha paura, se il fisico glielo permetterà probabilmente saranno altri mondiali”.
Probabilmente però, quando ti succedono queste cose ti passa di tutto per la testa.
“Come abbiamo visto quando è caduto in prova, sembra di no. Sicuramente gli infortuni pesano, ma se c’è uno che li può sopportare quello è Marc Marquez”.
Qual è la tua vittoria più bella al Mugello? Pensiamo al 2016, contro Marc. O nel 2018 con la Ducati.
“Quelle due! Però quando vieni da un periodo in cui non hai vinto, come nel caso della Ducati, te la godi di più”.
Che peccato con la Ducati però…
“Si, è un rimpianto della mia carriera”.
Tu hai guidato a lungo la Yamaha. Secondo te cosa manca di più a loro in questo momento?
“Il problema della Yamaha è che è l’opposto della Ducati. È una moto molto facile e continua ad esserlo, invece la Ducati che era molto difficile è diventata più semplice ed è ultra competitiva. È la moto che ha innovato di più, invece Yamaha ha migliorato pochissimo in questi anni, anche esteticamente da fuori sembra la stessa del 2015. Si salvano solo perché hanno un Quartararo più forte che mai”.
Se tu avessi il tuo team…
“Chi prenderei? Una Ducati, evidentemente Dall’Igna come tecnico e come piloti Marc Marquez e Fabio Quartararo. Marc è ancora il numero uno e Quartararo è un pilota incredibile”.