Il Red Bull Ring è la pista con la velocità media più elevata in calendario e, allo stesso tempo, una di quelle in cui i piloti strizzano la leva del freno più a lungo nell’arco della gara (per 13 minuti complessivi). Poche curve - le dieci pieghe presenti sono per lo più rampini da marce basse – e per il resto gas spalancato. Zeltweg, possiamo dirlo anche se è passato di moda, è una pista Ducati. Un circuito desmodromico, dunque, ma se si spezza il rettilineo più lungo inserendo una chicane cosa succede? La Yamaha sorride, verrebbe da dire. Quella chicane, però, è una destra-sinistra piuttosto brusca, artificiale e lenta. Una “esse” rigida e spezzata, che rompe il naturale ritmo di Zeltweg, tracciato che – alla fin fine – assomiglia ad un valico di montagna più slanciato e meno tortuoso rispetto alla consuetudine. Un passo del Brennero in forma racing insomma, con tornanti e allunghi che copiano i pendii della Stiria. E la nuova chicane, siccome manca lo spazio per addolcirne il profilo, esalterà le caratteristiche di quelle moto che, nelle ripartenze in salita da basse velocità, si distinguono dal resto del gruppo. Le desmosedici, quindi, ancora una volta. Con il rischio, per Quartararo e per la sua M1, che la Stiria diventi un incubo più opprimente del previsto.
Quando nel 2016 si tornò a correre tra le Alpi austriache, quel tracciato di proprietà Red Bull diventò la meta di villeggiatura più apprezzata dai ducatisti. Il debutto della MotoGP è il giorno di Andrea Iannone che riporta la rossa di Borgo Panigale sul tetto del mondo dopo sei anni di digiuno. Il pilota abruzzese convive nel box Ducati da separato in casa ma, a differenza dell’Argentina, riesce a duellare con il compagno di squadra senza farsi maledire, anzi. Andrea di Vasto regola Andrea di Forlì nel territorio di quest’ultimo, la scelta delle gomme e la gestione della gara. Iannone azzecca tutto, a una decina di giri dal termine scavalca Dovizioso con una staccata pulita e si invola verso la bandiera a scacchi. Il giorno dopo si parla di lui, di Dovizioso che si mangia le mani, della bella Italia delle due ruote e di Belen Rodriguez nel paddock. Carlo Pernat, manager di Iannone, con “Belìn, Belén!” esprime tutta l’energia trasmessa dalla modella al pilota di Vasto adoperando un gioco di parole.
Andrea Dovizioso, però, impara in fretta. E non ripete l’errore. Al massimo ripete i numeri, carta carbone, senza battere ciglio. Dai 2017 “incrociare su Marquez” – all’ultima curva dell’ultimo giro per vincere – è di gran lunga la tecnica preferita. Tutto ha inizio lì; nelle fasi finali della gara i due fanno il vuoto e Marc, per studiare le linee di Andrea, pela il gas sul rettilineo e lo lascia passare, prima di commettere un leggero “lungo” in curva 1. Dovi prova a scappare, ma lo spagnolo si avvicina a pochi metri dalla bandiera a scacchi. L’ultima curva è una destra in discesa, leggermente in contropendenza, dopo una staccata poco profonda: Marc si butta dentro come un paracadutista in picchiata e Dovi, che non si fa travolgere, incrocia la linea del rivale mandandolo a quel paese con un gesto eloquente. Il “vaffa” di Andrea rende l’idea del tasso agonistico riversatosi, in una domenica d’agosto, sull’asfalto austriaco.
“Uno a zero e palla al centro” – risponde Marquez. Che contro la Ducati, in Stiria, ci riprova anche l’anno successivo, ma Jorge Lorenzo vive un momento magico. Non resta che tentare ancora, nel 2019, contro Dovizioso. La sceneggiatura della gara è identica a quella del “vaffa”, ma questa volta i ruoli si invertono all’ultimo giro, con il forlivese dietro e il Cabroncito davanti. Le traiettorie dei due nel finale sfiorano la perfezione, che si impossessa di Dovizioso nelle ultime due curve. La penultima per avvicinarsi a Marquez e costruirsi una possibilità, l’ultima per realizzare il capolavoro. Il sorpasso del Dovi è soffice, preciso, pulito, come un fiocco di neve che si posa sulla pista. E non ammette repliche. Improperi? Nemmeno. Due a zero.
Andrea Dovizioso firma la tripletta a Zeltweg nel 2020. Non c’è Marquez, manca il pubblico sulle tribune e il Dovi, fresco di divorzio con Ducati, è senza sella per il 2021. L’ultima desmosedici di Andrea fa i capricci, ma in Austria moto, squadra e pilota si impongono una tregua forzata dopo i dissidi: bisogna vincere. E Dovizioso trionfa in una gara di gestione, riprendendo le redini del suo cavallo bianco che – nelle precedenti edizioni austriache – aveva insolitamente lasciato spazio a quello nero. Dietro, un incidente spaventoso ad oltre 320 orari - provocato da una manovra inaspettata di Zarco in approccio di staccata di curva 3 (Remus Kurve) - coinvolge Franco Morbidelli. La Yamaha Petronas del pilota italo-brasiliano vola come una scheggia impazzita a pochi centimetri dalle teste di Valentino Rossi e Maverick Vinales. Tutti stanno bene, ed è un miracolo.
Nasce la consapevolezza di dover agire per la sicurezza dei piloti e, con lo scopo di rallentare le moto tra l’uscita di curva 1 e la frenata della Remus, si pensa all’introduzione di una nuova chicane. Una “esse” rigida e spezzata che quest’anno – si dice - rimescolerà le carte della MotoGP al Red Bull Ring. O forse no.