Emiliano Malagoli, classe 1975 da Lucca, crede nella passione e nella forza di volontà dell’uomo. Nel 2012, 400 giorni dopo l’incidente che gli ha provocato l’amputazione della gamba destra, è tornato in pista al Mugello. Risalire in moto era l’unico modo per accettare la disabilità e rivalutarla. L’unico modo per comprendere che tante altre persone, nella stessa condizione, avevano bisogno di un supporto, di una guida che potesse riavvicinarli all’asfalto senza subire ulteriori traumi. E così Emiliano ha fondato la onlus Di.Di. Diversamente Disabili, la prima associazione in Italia in grado di portare ragazzi con disabilità in sella. Attraverso una scuola guida, corsi di formazione ed istruttori ad hoc, la onlus è all’avanguardia nell’organizzazione dei campionati italiano (Octo Bridgestone Cup) ed europeo (International Bridgestone Handy Race) dedicati a piloti con disabilità. Noi abbiamo chiamato Emiliano per chiedergli come si fosse concluso il campionato italiano della 600cc dopo l’ultima tappa in Emilia e – succede quando l’interlocutore è una fucina di idee– abbiamo finito parlando della maratona di New York.
Emiliano, partiamo da due domeniche fa. Come è finita tra Miscel Forgione e Paolo Sirtori la Octo Cup a Varano?
“Da un lato è stato bello, perché da un evento apparentemente negativo è venuta fuori una dimostrazione di fair play incredibile. All’ultima gara Paolo e Miscel erano a pari merito in classifica (stesse vittorie e pole position). Sono partiti con Miscel davanti in griglia, Paolo l’ha passato subito alla prima curva. Al quarto giro Miscel, che forse ne aveva di più, si è preso il rischio di superare Paolo in staccata, ma ha perso il controllo della moto e l’ha buttato giù. Quando entrambi erano nel ghiaione, Paolo – nonostante potesse tentare di ripartire e non avesse colpe nell’incidente - è corso subito da Miscel per sincerarsi delle sue condizioni. Miscel è paraplegico e Paolo, giustamente, ha pensato alle sue conseguenze fisiche. Lì, nella via di fuga, i due si sono abbracciati subito e poi, ai box, Miscel era più dispiaciuto per aver rovinato la gara a Paolo che per sé stesso: si sono abbracciati nuovamente”.
E la cosa ti ha reso orgoglioso.
“Tanto, perché è la dimostrazione che quello che cerchiamo di trasmettere ai ragazzi è stato compreso. Tutti i nostri ragazzi sanno che nessuno di noi andrà a correre in MotoGP, sono coscienti di esserci per miracolo e di aver avuto una seconda possibilità. Per questo hanno un rapporto diverso con l’avversario, una concezione diversa del rispetto e dei valori importanti della vita. Poi, sinceramente, per come se la sono giocata Miscel e Paolo quest’anno, a me sarebbe veramente dispiaciuto vedere un vincente ed un perdente. Perché ad ogni gara si sono confrontati lealmente senza mai risparmiarsi. Alla fine ne ha approfittato Fabio Bitocchi, che ha vinto il campionato. E Fabio se lo merita ugualmente, forse di più; si impegna moltissimo nell’organizzazione, è 5 anni che è con noi e per i nostri ragazzi è un punto di riferimento, una chioccia. Il giusto premio per lui che l’anno prossimo smetterà con le gare.”
A proposito di MotoGP: dopo la gara di Barcellona abbiamo visto Nakagami porgere le scuse a Bagnaia e Rins. Due scene che sono state riprese dalle telecamere risultando, forse, un po' costruite. Come se ci fosse la volontà di far sembrare tutti amici quando in realtà le cose sono diverse. Tu cosa ne pensi?
“Secondo me alcuni piloti sono anche amici, perché un po' di conoscenze nel paddock del Motomondiale ho la fortuna di averle vissute. Però c’è un fattore agonistico ed economico che va ad offuscare tutta la parte di amicizia. In gara, dove il livello è altissimo, il lato sportivo è troppo importante per lasciare spazio ad altre cose. Poi nel paddock, a motori spenti, magari c’è posto anche per l’amicizia".
Sei stato un pioniere in Italia per quanto riguarda la disabilità e le due ruote. Tra tutte le difficoltà che hai dovuto affrontare all’inizio, com’è nata Diversamente Disabili?
“L’idea è nata dopo il mio incidente: tornare in moto era l’unica cosa che mi faceva pesare meno la mia disabilità. Poi però ho visto che dovevo fare tutto da solo, perché non c’erano associazioni, federazioni che avessero pensato a riportare persone con disabilità in sella. Sono tornato a correre io e mi sono chiesto perché non lo facesse nessun altro. Ho capito che la motivazione era soprattutto economica. Senza spendere non c’era possibilità di provare nuovamente, figurati per ragazzi con disabilità che magari si sono fatti male proprio in strada: non pensano certo di tornare a guidare se i costi sono elevati. Così ho acquistato delle moto, le ho modificate per ogni disabilità e ho organizzato giornate di prova aperte a tutti. Se dai la possibilità ad una persona disabile di fare le stesse cose di un normodotato, la persona disabile le fa. Con i corsi, quando siamo riusciti a raggiungere un numero consistente di partecipanti, abbiamo organizzato le prime gare anche con l’aiuto di Bridgestone. La onlus è nata nel 2013 e nel 2015, al Mugello, abbiamo fatto la prima gara europea. Nel 2017 eravamo già nel palcoscenico del Motomondiale".
In sostanza, prima che nascesse la onlus prendere la patente della moto per una persona disabile era praticamente impossibile.
“Esatto, il problema era che in commissione la maggior parte degli ingegneri della motorizzazione scoraggiavano i ragazzi disabili a tornare in sella per non assumersi responsabilità, quando la legge in realtà consentiva alla persona disabile di riprendere la patente. Quindi abbiamo dovuto prima di tutto far valere i diritti di questi ragazzi, perché la verità è che il motociclista disabile era scomodo; abbiamo ricevuto tante porte in faccia da medici ed istituzioni. Tutt’ora stiamo cercando di semplificare sempre di più la burocrazia distribuendo tutte le informazioni (per avere protesi certificate, certificati medici adatti). E poi, in collaborazione con la Handytech - che produce questo genere di adattamenti - abbiamo quattro tipi di moto tutte modificate ed omologate per ogni disabilità".
Cosa deve fare oggi un ragazzo con disabilità che vuole salire in sella?
“Non deve fare altro che contattarci e noi, se vuole fare l’esame con le nostre moto, prenotiamo in Toscana la pista omologata e, dopo aver fatto il corso, facciamo l’esame. Altrimenti, se vuole restare nella sua città, io o uno dei nostri istruttori possiamo partire, andare da lui con la moto omologata e fare il corso. Ormai sono 6 anni che preparo ragazzi all’esame, perché penso che anche l’istruttore normodotato più bravo non possa capire fino in fondo le difficoltà che ha una persona disabile a guidare la moto. Istruttore disabile e apprendista disabile parlano la stessa lingua. Infatti, anche nei corsi che facciamo in pista, abbiamo per ogni allievo un nostro pilota con la sua stessa disabilità (oltre agli istruttori federali)".
Sei stato campione italiano lo scorso anno nella Octo Cup. Qual è stata la soddisfazione più grande?
“Che l’impegno - e ce ne metto tanto - a livello di preparazione fisica e mentale sia stato ripagato. È un insegnamento che cerco di trasmettere anche ai nostri nuovi piloti. Credo che l’allenamento superi sempre il talento se questo non è allenato, non ci sono scorciatoie".
Quest’anno invece hai deciso di lasciare il campionato italiano e concentrarti esclusivamente su quello europeo. Come sta andando?
“La scelta di correre in un solo campionato è stata giusta, perché altrimenti si disperdono le energie. Per ora mi tocco, ma sta andando bene: sono primo con 25 punti di vantaggio sul diretto inseguitore e rimane l’ultima doppia gara a Jerez il 15-16 ottobre. Ci sono 50 punti a disposizione, ma vorrei chiudere i giochi alla prima manche. Cercheremo di affrontare bene il weekend e di guidare con testa, poi si vedrà".
Sei stato il primo italiano a correre la maratona di New York con delle protesi. Qual è la prima immagine che ti viene in mente se ripensi a quell’esperienza?
“La fotografia del pubblico di New York. Me lo dicevano, ma quando sei lì il pubblico di New York è qualcosa di indescrivibile. Ti portano loro all’arrivo con il loro incitamento. La seconda fotografia è quella della fatica, del dolore immane per arrivare al traguardo. Ma sai cos’ha di bello l’essere umano? Che tende a dimenticare le cose brutte. E a proposito di maratone ci sarà qualche bella novità a breve!”.
La maratona di New York ti ha spinto a raccontare la tua storia nel libro “Continua a correre”, seguito dal docufilm “50 000 passi”. Riavvolgendo il nastro della tua vita, ti sei accorto di qualcosa che prima avevi trascurato?
“La cosa bella di fare un libro è che ti riporta indietro nel tempo, e mentre scrivi rivivi tutte le sensazioni e le emozioni. Il fatto di mettersi a nudo raccontando totalmente sé stessi, con i propri errori, è un modo personale per liberarsi dalle ragnatele che ti porti dentro. Se riesci a parlarne vuol dire che, automaticamente, hai già fatto un passo avanti e difficilmente sbaglierai nuovamente".
Emiliano, un consiglio da padre per tutti quei ragazzi che, improvvisamente, si trovano ad avere a che fare con una disabilità.
“Accettarla, prima di tutto. E iniziare a cercare qualsiasi soluzione possibile per provare a fare le stesse cose di prima. Un po' come ho fatto io con la moto, e parlo di qualcosa che ho vissuto direttamente: era l’unico modo per accettare quello che mi è accaduto, per dare un significato e un peso diverso alla mia disabilità. Le storie dei nostri piloti devono essere da stimolo per tante altre persone. Perché qualunque cosa accada noi possiamo sempre rialzarci".