Una figlia cresciuta a pane e miscela, un babbo pilota che non c’è più, una vecchia tuta in pelle e una promessa. E’ la storia di Giulia Nicoletti, di Perugia. Lei, insieme a Chiara Valentini, Alessia Polita, Letizia Marchetti e tante altre ha fatto parte del primo gruppo del trofeo velocità, diventato poi un campionato, dedicato alle sole donne.
Ce l’aveva nel sangue la moto, anche se quel babbo aveva sempre preferito non trasmetterle anche nei fatti la passione di cui lui stesso si cibava. “Papà – ci ha raccontato Giulia – era stato un discreto pilota ai suoi tempi, sia nella velocità sia nel cross. Le moto erano la sua passione, ma io non sono stata di quelle figlie messe prestissimo su una minimoto. Anzi, ero già bella grande, oltre i vent’anni, quando presi il primo 125. Solo che poi alcuni amici maschi si accorsero ben presto che gli davo la paga, nonostante una moto piccola e vecchia e uno di loro mi disse che avrei dovuto provarci con le moto vere. Una moto vera la comprai poco dopo, a 22 anni, e ovviamente di nascosto, anche da mio padre”. Poi le prime esperienze in pista, la consapevolezza che l’inizio tardivo non aveva rappresentato un freno per quel talento che c’era e non si era mai espresso e l’inizio di una carriera su due ruote nel gruppo storico delle prime pilotesse italiane.
“Ogni volta – ha aggiunto Giulia – sognavo sulla vecchia tuta di mio padre, tenuta come un cimelio. Ma guai a toccarla. Poi lui si è ammalato e la vita anche per me ha preso una piega diversa”. Nel primo anno del campionato femminile ha partecipato a tutti i gran premi in programma, poi solo qualche apparizione, ogni tanto, trovando sponsor che mettessero a disposizione mezzi e risorse e, a volte, anche con la moto di serie. “Arrivavo in pista con la moto – dice Giulia – smontavo targa, specchi e frecce e facevo la gara. Poi rimontavo tutto sulla mia R6 e tornavo a casa. Ovviamente sotto a quella moto c’era di tutto e se qualcuno mi avesse fermata probabilmente mi avrebbe sequestrato pure la più inutile delle viti”.
La pista, la strada, le gite con gli amici che annullavano il genere e pure quelle solite battute che fino a qualche anno fa una donna in moto doveva sempre sentirsi dire: “Ma sai guidarla? Ma riesci a tenerla?”. Sì, ci riusciva e pure meglio di tanti maschietti, costretti a guardare da dietro quei riccioli che sbucavano da un casco. “Non è facile fare il pilota – ha raccontato ancora Giulia – Non è facile per i maschi, in un mondo dove gravitano un mare di soldi, figuriamoci per una ragazza. Dovevo lavorare e, nel frattempo, anche i miei genitori hanno iniziato ad avere problemi di salute. Tempo per la moto ce ne è stato sempre meno, delle gare non se ne parlava proprio più”.
Poi il lutto, quel babbo così innamorato delle due ruote e così orgoglioso dei suoi trascorsi da pilota che se ne è andato, lasciando una vecchia tuta e un nuovo vuoto. Ma insieme al dolore, per quella figlia è arrivata anche anche la gioia di diventare mamma di una bambina: “Fino a sette mesi di gravidanza sono andata in moto – ha raccontato ancora Giulia – poi chiaramente ho smesso e alla fine l’ho anche venduta, ma dentro di me sapevo che prima o poi sarei tornata in sella. Da una passione così grande puoi prenderti una pausa, ma a dire basta non ce la farai mai. E poi avevo fatto una promessa al mio babbo: infilarmi la sua vecchia tutta e tornare a mischiare il suo odore con quello, inconfondibile anche se non descrivibile, dell’andare in moto”.
Una promessa mantenuta, visto che non molto tempo fa l’occasione per Giulia si è presentata sotto forma di una Suzuki GSR 750. “L’ho comprata – ha concluso – adesso ho un pochino più di tempo e quando sono libera metto il casco e la tuta di mio babbo e vado a fare qualche curva qua in Umbria. Per ricominciare, questa naked va bene, ma non nascondo che la perfezione, per me, è carena, mezzi manubri e libertà. E magari, prima o poi, anche qualche cordolo da salutare ancora una volta da molto, molto vicino”.