Di quelle chiacchierate notturne perché proibite, tra i camion del paddock, si è scritto molto. Era il 2003, Valentino Rossi vinceva tutto con la Honda e litigava con i giapponesi. Arrivi davanti grazie alla moto, dicevano gli avversari e qualche detrattore, e in HRC preferivano annuire perché quello era il marchio più importante al mondo e Rossi, secondo i piani alti, stava soltanto facendo quello che era già riuscito a Mick Doohan qualche anno prima. Forse meno. Valentino però non era d’accordo e Yamaha voleva tornare sul tetto del mondo.
Così, per l’appunto, sono cominciati gli incontri clandestini tra il Doc e Davide Brivio, che produssero la straordinaria vittoria di Welkom 2004 prima e un totale di quattro titoli mondiali poi, segno della rinascita di Yamaha e del legame con Valentino Rossi che continua oggi tra le piste sabbiose del Ranch. Oggi la grandezza del fuoriclasse che è stato non la si può raccontare con una scelta, né tantomeno in una manovra o un numero, ma per anni si è pensato che a farlo grande fosse stata proprio quella scommessa, lasciare la dea del motore per mettersi con una ragazza incontrata di notte. A Valentino, però, le cose non sono andate sempre bene. Ha scommesso tanto e, forse perché in un quarto di secolo anche la legge dei grandi numeri comincia ad avere un peso, tante volte ha perso. Gli è successo con Marc Marquez, gli è successo con la Ducati. A fine 2010, quando ha lasciato per la prima volta Yamaha, l’idea era quella di arrivare dove solo Agostini era riuscito, una storia che grazie a Pecco Bagnaia abbiamo cominciato di nuovo a ricordare. Rossi però la Ducati non l’ha mai digerita, a partire da quel giorno di test a Valencia nel 2011 quando, con un punto di domanda sul casco, capì che quella moto, in quelle condizioni, non l’avrebbe mai portato a vincere. Così Rossi, abbastanza alla svelta, si è messo a cercare altro, cercando di tornare dov’era stato bene.
A raccontare l’aneddoto è Davide Brivio, in un’intervista esclusiva per Slick Magazine. Slick è una pubblicazione atipica, perché mettendo la qualità davanti a tutto il resto - delle storie, della fotografia e persino della carta - riesce a produrre numeri da collezione. Belli da leggere, da guardare e anche da tenere in casa. E su cui si leggono storie, come questa (che è un estratto di un’intervista più lunga battezzata ‘Fuoco Amico’) che altrove semplicemente non ci sono. Brivio dell’avvicinamento di Valentino Rossi alla Suzuki aveva già parlato nel 2021, dopo il titolo di Joan Mir e prima di passare alla Formula 1, mai però così a fondo.
“Bisogna partire dal 2011, quando lavoravo per Valentino”, racconta Brivio. “Anche io avevo lasciato la Yamaha alla fine del 2010, come lui. Alla fine del 2011 si ritirò la Suzuki, ma nel paddock si sapeva che avrebbe voluto fermarsi già a fine 2010, quindi nel 2011 aveva corso – schierando una sola moto – solo per onorare il contratto con la Dorna. Sul comunicato ufficiale in cui veniva annunciato il ritiro c’era scritto “ritorneremo”, per cui nel paddock si sapeva che la storia non si sarebbe conclusa lì. Ma di certo io, in quel periodo, non pensavo che di lì a poco avrei avuto a che fare con la Suzuki.
Pochi mesi dopo, cioè all’inizio del 2012, mi ha contattato Shinichi Sahara, e mi ha detto: ‘Noi vogliamo rientrare davvero, e lo faremo nel 2014, quindi vorrei sapere se Valentino è interessato ad unirsi al progetto'. Ne parlai a Valentino – sapendo che il contratto con la Ducati era valido fino alla fine del campionato 2012 – e lui mi disse che aveva bisogno di una moto per il 2013, non per il 2014. Quindi non poteva aspettare la Suzuki. Ed è esattamente quello che ho riferito a Shinichi Sahara: “Grazie per l’interessamento, ma non riusciamo a fare nulla”, spiegai. Lui ne prese atto, e per un po’ non ci siamo sentiti. Ma dopo un po' di tempo, Sahara mi ha ricontattato. E questa volta mi ha detto: “Se per il nuovo Team Suzuki tenessimo come base l’Italia, tu saresti interessato a gestirlo?".
Bisogna fare una premessa: quando Sahara mi aveva contattato per Valentino, mi aveva anche detto che sarebbero stati disposti a fare la sede della squadra in Italia, per tenerla vicino a lui. Quindi l’idea di fare base in Italia c’era già. Comunque, io questa volta risposi: “Si, sono interessato”. Era l’estate del 2012, e all’inizio dell’autunno andai in Giappone per iniziare a parlare del nuovo progetto: il primo team ufficiale della Suzuki in MotoGP”.
Niente di meno. Nel 2013 Valentino Rossi torna alla Yamaha, vince in Olanda, seguono due podi, poi un 2014 in crescita e il 2015 in cui ha guidato la classifica fino a Valencia. Un bel rientro, spettacolare come sempre. Che però, su di una Suzuki, avrebbe cambiato tante cose, dalla storia di quel pilota che ha vinto così tanto al marchio che oggi ha deciso di lasciare la MotoGP. Vederlo lì, dove sono diventati grandi Marco Lucchinelli, Kevin Schwantz e Barry Sheene sarebbe stato un altro pezzo della favola.