Michele Pirro, a Valencia, era tra i più felici per quel mondiale che Ducati aspettava da 15 anni. Parrucca rossa, prosecco a doccia. Michele in Ducati ci lavora da 10 anni, anche se quando ha cominciato lui a fare il collaudatore doveva essere solo una fase, un breve passaggio obbligato: finisci quest’anno e ti diamo la moto, vai a fare il pilota. Anzi, facciamo il prossimo. E così gli anni passavano e la Desmosedici non funzionava, lontanissima da quella meraviglia rossa guidata da Casey Stoner. Michele ha capito che il pilota in MotoGP per una stagione non poteva più farlo. Così ha corso l’italiano, vincendolo 9 volte (l’ultima quest’anno) e si è imposto come tester di riferimento nel motomondiale. Ha passato periodi in cui tra un campionato e l’altro nell’armadio aveva più tute che paia di scarpe e forse è ancora così. Qualche rimpianto per non averci potuto provare, oggi, lascia il posto a una soddisfazione enorme, che però dura sempre troppo poco: quando lo contattiamo per scambiare due parole sulla sua Ducati è a Jerez, a portare avanti i test con il prototipo del prossimo anno. Lo fa anche se piove. Ducati quest’anno non ha vinto solo la MotoGP (dove ha conquistato titolo piloti, costruttori e squadre), ha fatto lo stesso in Superbike e, proprio grazie a Michele, ha vinto l’italiano: nel calcio lo chiamano triplete.
Ciao Michele. Senti, quest’anno per te è stato il decimo con Ducati: che effetto fa festeggiare così la doppia cifra?
“È stato un anno incredibile. Riuscire a vincere la MotoGP dopo così tanti anni è stata una grande soddisfazione, sono molto contento, è un lavoro iniziato tanti anni fa”.
Quest’anno, considerando anche la tua vittoria al CIV, avete fatto il triplete, anche se nelle moto non si dice. Insomma, avete vinto tutto.
“È stato bellissimo vincere tutto, sia MotoGP che Superbike e CIV. È vero che il campionato italiano è meno importante, ma va sempre vinto e abbiamo dovuto lottare con l’Aprilia, che corre con il 1100 e a livello di cilindrata avevano un vantaggio. Dico però che siamo riusciti a farci valere e sono contento perché quando sono arrivato io in Ducati era un’altra epoca. Sono uno dei pochi che ha vissuto l’evoluzione a partire dall’era subito dopo Valentino, con Gobmeier prima e Dall'Igna poi. Ci sono stati momenti difficili, critiche… ma non abbiamo mai mollato e ce l’abbiamo fatta. Ora sono a Jerez a fare i test per l’anno prossimo, non ci vogliamo fermare”.
È vero che il campionato italiano è meno importante degli altri due, però è anche vero che chi compra la moto vuole sapere che è quella lì ad andare forte, non la MotoGP o la Superbike.
“Non tutti lo sanno, ma la moto con cui corriamo nell’italiano è la più vicina a quella che puoi comprare. Anche se si chiama Campionato Italiano Superbike è completamente diverso dalla SBK, perché il regolamento impone - a parte qualche piccolezza - che la moto sia di serie. A differenza della MotoGP o della SBK quindi, la moto dell’italiano è vicinissima a quella che puoi comprare, quindi il confronto lo puoi fare davvero. Una Superbike è un prototipo, ha specifiche di serie ma sono pochissime. Poi io faccio del mio meglio, anche il campionato italiano lo faccio per tenermi allenato, il Team Barni mi offre la possibilità di farlo e Ducati anche. Nonostante sia il più vecchio in griglia il prossimo anno cercherò di dare filo da torcere ai ragazzini”.
Per fare il collaudatore della MotoGP hai dovuto rinunciare un po’ alla tua carriera di pilota. Quest’anno ti ha ripagato degli sforzi?
“Adesso è facile dirlo, però… Ducati mi aveva ingaggiato per fare il pilota, avevo il contratto da collaudatore per un anno e poi avrei dovuto correre a tempo pieno. Invece anno dopo anno la strada è cambiata, c’era tanto lavoro da fare e partivamo da molto lontano. Non era stimolante correre con un mezzo ancora da mettere a posto, ci sono stati tanti cambiamenti anche in Ducati Corse e io li ho vissuti tutti. Così un po’ alla volta ho dovuto accantonare l’idea di correre il mondiale per intero. Ho portato a casa tanti risultati, dalle wildcard alle sostituzioni, ma non sono riuscito più a fare un anno completo per dedicarmi soltanto ad andare forte. Sono molto contento del lavoro che mi viene riconosciuto, ma non saprò mai come sarebbero andate le cose se avessi potuto correre delle stagioni per intero. La mia velocità e il mio talento magari mi avrebbero regalato qualche soddisfazione. Per il talento che mi ha dato la natura penso che avrei potuto fare bene, o comunque non peggio di tanti altri che l’opportunità l’hanno avuta. Però sai, nella vita uno è sempre abituato a vedere quello che non è riuscito a fare, invece forse questo era il mio destino. Non avrò vinto un mondiale da pilota, ma da collaudatore sì. Quello che ha fatto la differenza in questi anni è che anche io mi sono veramente messo a disposizione degli altri”.
Nel senso che ad un certo punto hai cominciato a ragionare da collaudatore?
“In un certo senso è così, ho smesso di pensare al fatto che il collaudatore veniva visto come uno che girava a fine carriera e ho preso sempre tutti i test con grande serietà: allenamento, preparazione… Un impegno importante che credo faccia la differenza. Questo spirito è anche di tutti i ragazzi che lavorano al progetto. Poi io sono stato spinto dal gruppo e viceversa, ci siamo aiutati”.
A sentire i piloti la Ducati Desmosedici 2023 sembra avere un motore un po’ più dolce, morbido: siete contenti del risultato o manca qualcosa?
“Fortunatamente non abbiamo bisogno di stravolgere le cose, ci basterà perfezionarne alcune. Non è facile, dobbiamo stare attenti a non peggiorare la situazione. Sicuramente la 2023 è un po’ più raffinata, ma godiamoci questo mondiale e pensiamo a lavorare per il prossimo”.
Valentino Rossi ha detto a Sky che i giapponesi dovranno adeguarsi al livello della Ducati: spendere di più, coinvolgere più persone… Pensi sia questo che manca, al momento a Honda e Yamaha?
“Non dimentichiamoci che loro hanno dominato per anni, sempre. Loro le moto le sanno fare e porteranno a tornare in alto perché hanno sia il potenziale economico che le risorse per farcela. Non dobbiamo abbassare la guardia, ci piacerebbe rimanere ancora lì. Non che gli anni scorsi non fossimo competitivi, ma delle cose non avevano funzionato. Il mondo è cambiato con la pandemia e la concorrenza europea, in questi anni, ha fatto grossi passi in avanti. Vediamo però, loro sono forti, c’è Marquez, hanno Quartararo…”
Chi ti spaventa di più: Marquez e la Honda o Quartararo e la Yamaha?
“Sono due campionissimi. È chiaro che Marc Marquez è un cavallo pazzo che con la moto a posto potrebbe essere una bella gatta da pelare. Vediamo, noi siamo pronti”.
L’anno prossimo avrete anche la MotoE: lo sviluppo è terminato?
“Si, un anno fa, a dicembre, l’ho provata per la prima volta ed è stato un bel momento. È una moto divertente, poi quel campionato lì lo vinciamo sicuro! Sicuramente i piloti troveranno una vera moto da corsa da guidare”.
Un’ultima domanda: che ricordi hai della festa a Valencia? Come è stata?
“La festa a Valencia credo sia stata una liberazione che aspettavo da 10 anni, mi porterò comunque dentro una giornata incredibile di tensione e soprattutto di goduria totale. Perché adesso per esempio sono in pista a Jerez, a lavorare, e sono tra i pochi a sapere davvero quanto lavoro è stato fatto e quanto impegno c’è stato messo. Bisogna ringraziare Pecco, perché è andato veramente forte e se lo meritava. Se non ci sono piloti come lui il nostro lavoro non viene concretizzato, invece Pecco ha fatto alla grande la sua parte. Il merito grosso, di finalizzare il lavoro, va dato a lui. La gente parla e critica, ma io che ho la fortuna di guidare le moto ed essere in questo mondo so cosa vuol dire, bisogna dare merito a questi ragazzi, meritano applausi. Siamo italiani, la Ducati è italiana e 50 anni fa era successo ad Agostini, non c’è riuscito neanche Valentino. Diamo a Pecco i suoi meriti”.
Hai un bell’aneddoto della festa?
“L’ho detto anche a Sky, sarebbe da fare una clip per natale: le mie battute, i momenti… penso a quando abbiamo portato Cristhian Pupulin in KTM, o a quando abbiamo fatto irruzione in sala stampa: ci sono tre o quattro ore di cose che solo noi italiani potevamo fare. A parte lo show in pista abbiamo scatenato l’inferno anche fuori, è stata veramente una cosa bella. Magari qualcuno potrà pensare che abbiamo esagerato, invece secondo me è giusto così: abbiamo vinto dopo tanti anni e tanta sofferenza. Se non festeggi in questi momenti… anche perché non è detto che l’anno prossimo ce la faremo ancora”.