Le foto che ricorderemo sono due. Lautaro che esulta sotto la Nord in stile Bombonera, moood argentino. E un meme: un treno africano colmo di gente. La dida riporta questa frase: tutti quelli saliti sul carro di Inzaghi. Vero, verissimo. Io sono il primo, degli interisti. E sono stato il primo a criticare Inzaghi. E sono il primo, oggi, ad ammettere che Inzaghi è la dimostrazione che di calcio non capiamo un cazzo. E forse non capiamo niente nemmeno delle persone, che possono evolvere, cambiare, crescere. Vedete Spalletti. Piano piano ha preso sicurezza, si è preso uno spogliatoio, con scelte, con un percorso come direbbe Lele Adani. Inzaghi idem, indipendentemente dal fatto che vincerà o meno la Champions, in questa stagione ha fatto il suo, di percorso. Era evidente ieri il suo sguardo: incazzato, sul pezzo. E a lui, prima, quello sguardo non ce l'aveva. Mancava il killer istinct, per capirsi.
Il calcio, è vero, è un gioco semplice. Ma anche molto complicato. Non è possibile parlare senza vivere i dettagli, l'atmosfera di uno spogliatoio, senza guardare in faccia i giocatori, capire che aria tira nell'ambiente fatto di società, magazzinieri, massaggiatori. Tutto è complice. Tutto serve. Simone Inzaghi è sul pezzo da anni, vince solo la Coppa Italia? Ma vincere non è mai facile, e anche stare sempre in alto - come fa lui da tempo - non lo è. Adesso, forse, è pronto anche a vincere un campionato.
E che non capiamo un cazzo di calcio lo dimostra anche Francesco Acerbi. Ma ve lo ricordate voi le critiche ad Acerbi appena arrivato? Un brocco, bollito, vecchio. All'inizio non giocava titolare e quando entrava erano fischi, offese, critiche. Anche per quel sorriso dopo aver preso gol dal Milan quando era alla Lazio. Ora tutti hanno capito chi è davvero: un grande uomo prima ancora di un grande giocatore.
E cosa vogliamo dire di Dumfries? Su di lui andrebbe dedicato un pezzo a parte. Ha tenuto testa a Theo Hernandez, a volte l'ha sovrastato. Eppure sono mesi che noi interisti lo massacriamo. Poi, ok, lo sapevamo che avremmo dovuto tenere botta i primi venti minuti e - lo abbiamo anche scritto due volte - sapevamo anche che più la partita sarebbe andata avanti in equilibrio meno chances avrebbe avuto il Milan, perché la panchina dell'Inter è più valida (e infatti Lukaku, entrato nel secondo tempo, ha fatto la differenza). E ok pure che il Milan è arrivato spompato, senza Bennacer, con un Leao affaticato. Tutto logico. Ma ora non possiamo non dire che questa squadra, spesso, la forza di ricostruirsi e di mantenere la rotta dritta sé l'è trovata tutta da sola perché sono stati tanti i momenti, quest'anno, in cui noi tifosi l'abbiamo data per persa.
Molta responsabilità ce l'ha il calcio attuale. Vero anche questo. Troppo mercificato. Oltre ogni limite. E qui arriviamo dritti a un altro discorso. Ieri in tribuna c'erano Perisic, Hakimi, gente che non se ne doveva andare. Sarebbe bello che comunque andrà la finale da parte dei giocatori arrivasse un segnale: tornare alle bandiere. I primi a capirlo devono essere loro, i giocatori. La finale conquistata è un messaggio a Onana, Lautaro, Bastoni, Barella: avete rotto, non cercate gloria e soldi chissà dove. La gloria ce l'avete già qua, vi amiamo come nessun altro vi amerà, i soldi fateveli bastare. È un sogno pensare di aprire un ciclo? Lo era pure arrivare in finale di Champions. Eppure...