A fare notizia a Barcellona, più dell’ennesimo successo di Lewis Hamilton su Max Verstappen, sono stati Carlo Vanzini e Mattia Binotto. Il siparietto nel post gara ha fatto discutere tutti, sorridere alcuni, infuriare altri. Vanzini che in telecronaca esalta “il predestinato” Charles Leclerc, al grido di “date una macchina a questo ragazzo” e Mattia Binotto, solitamente così pacato con la stampa, che non ci sta e replica “è merito di tutta la squadra, non solo di Charles".
Avrà ragione Vanzini? A esaltare le doti di un ragazzo che dal difficilissimo 2020 si carica sulle spalle le sorti di tutto il team, traducendo in capolavori i progressi di Maranello?
O avrà ragione Binotto? A infuriarsi con chi vede nel monegasco l’unico spiraglio di luce della Ferrari? I miracoli li fa il pilota, certo, ma la monoposto che lo scorso anno - in piste come quella di Montmeló - rischiava spesso il doppiaggio, a Barcellona ha chiuso con un quarto posto che sa di vittoria. Una scuderia come quella del Cavallino punta più in alto di una quarta posizione, non c’è dubbio, ma pensare che con il regolamento 2021 - e le monoposto praticamente congelate dalla stagione 2020 - la Ferrari potesse giocarsi il campionato era utopistico già prima del via in Bahrain.
Che abbia ragione il commentatore di Sky Sport o il team principal della rossa allora poco importa, perché questo battibecco post gara nasconde una buona notizia che è passata inosservata: vedere la Ferrari, rappresentata in tutta la sua presunzione dalla voce stizzita di Binotto, che se la prende per un commento, che alza la cresta e non ci sta, è la vera rivoluzione di Maranello.
La Ferrari è tornata ad essere quella che era, quella con la consapevolezza dell'avere un nome, una storia, e un colore, che nessun altro team potrà mai ambire ad avere. Il fatto più preoccupante di un 2020 da dimenticare, più degli evidenti risultati in pista, era proprio la perdita di questa presunzione.
Piloti e team principal costretti a chiedere scusa di continuo, a rispondere alle domande della stampa con la testa bassa, consapevoli di un disastro che non potevano spiegare, e a cui non sembravano in grado di porre rimedio (ricordiamo l’iconico “dobbiamo capire” di Binotto).
Adesso finalmente qualcosa è cambiato. Leclerc continua a portarsi la sua Ferrari sulle spalle, con un promettente Carlos Sainz al suo fianco che si sta ancora adattando alla nuova monoposto, e lo fa così bene da far emozionare chi lo guarda. Ci mette cuore e animo, e quel pizzico di sfrontatezza dei suoi vent’anni, supera Bottas in partenza e fa di tutto per tenerlo alle spalle nel corso della gara, seppur consapevole di essere in netto svantaggio.
Il team migliora, cercando di non perdere di vista l'obbiettivo e puntando agli sviluppi della monoposto in ottica 2022, dando alla coppia di giovani piloti la possibilità di lottare ai piedi del podio, giocandosi un terzo posto nella classifica costruttori che a inizio anno sembrava impossibile anche solo da sperare. Si accende la sfida con McLaren e Alpine, mentre davanti Mercedes e Red Bull si contendono le posizioni che contano davvero.
E tornando a combattere la Ferrari ritorna se stessa, il Cavallino è di nuovo rampante, la testa è alta, anche di fronte a chi mette il pupillo della rossa davanti alla sua monoposto, e alla scuderia che lo ha scelto, lo ha cresciuto e ha scommesso su di lui. "Date una macchina a questo ragazzo", commento che lo scorso anno sembrava quasi scontato, condivisibile e impossibile da negare, alle orecchie di Binotto in questa stagione suona come un insulto.
Nell'attesa che un nuovo ciclo inizi, e che abbia davvero senso parlare di delusione o di sconfitta (se nel 2022 la rossa non lotterà per il titolo sarà un vero disastro mediatico e sportivo), la Ferrari ritrova nelle parole di Binotto un po' del suo carattere: quello che da oltre 90 anni l'ha resa l'unica, arrogante, rampante, scuderia di Maranello.