Il sogno non basta più. La consapevolezza che Ferrari è stata, è e sempre sarà la storia dell'automobilismo e del motorsport in tutta la sua grandezza non sembra essere più sufficiente. Quando Maranello chiama nessuno può rifiutare, si è sempre detto tra i corridoi più prestigiosi del mondo dei motori per decenni, ma questa equazione semplicissima, disegnata ad arte da Enzo Ferrari all'alba di un sogno rosso smalto, rosso passione, oggi non basta.
Il motorsport è diventato una macchina complessa, fatta di stabilità, certezze, investimenti, fondi milionari, progetti su lunga distanza. I team principal si fanno carico di un obiettivo, i piloti diventano volti di un brand firmando contratti sempre più lunghi, basati sul concetto di solidità e sicurezza. Un quadro, ironia della sorte, abbozzato proprio dalla Ferrari a cavallo tra due millenni, durante i successi del lungo binomio Jean Todt-Micheal Schumacher, diventati baluardo di una squadra che sa rispondere alle complessità degli insuccessi tenendo saldo il timone, continuando lungo una strada già iniziata senza cambiare rotta, senza farsi spostare dalle critiche dei media, della stampa, di chi inizia a fare domande: Michael Schumacher sarà davvero così forte come si diceva? Jean Todt sarà la scelta giusta?
Niente ha mosso la solidità del progetto, niente lo ha fatto traballare, e i risultati alla fine sono arrivati. Così come Ferrari un tempo ha insegnato, oggi gli altri fanno, in un mondo che però si muove veloce e da Maranello, un tempo terra promessa di ogni appassionato, non sembra esserci qualcuno in grado di stare al passo. E mentre si discute dell'arrivo di Frédéric Vasseur, se sia o meno la scelta giusta per il dopo Binotto, o della non partenza di alcuni nomi mal voluti dai tifosi, come il capo stratega Iñaki Rueda, il problema della Ferrari sta alla radice delle scelte che continuano ad essere fatte.
Non è Binotto, non è il box diviso, l'addio nel momento sbagliato, la paura per cosa potrà succedere nel 2023. Il problema è che qualcuno ha iniziato a dire no alla terra promessa di Maranello. Il luogo che nessuno poteva rifiutare, il sogno di qualsiasi ingegnere, tecnico e pilota, non è più il sogno di tutti. In un un mondo fatto di reputazione e progetti sul lungo termine la gestione Ferrari, e la mancanza di una dirigenza forte, speventa chi è chiamato a scommettere sul Cavallino.
Lo ha spiegato senza giri di parole Toto Wolff che, parlando dell'addio di Binotto, ha candidamente confessato: "E' rimasto in Ferrari più di quanto mi aspettassi. Se firmi con Maranello devi essere sicuro di avere un buon contratto di uscita". Perché è la regola, ormai si sa, mentre gli altri top team costruiscono fondamenta con muretti solidi e uomini fidati, al Cavallino si cercano colpevoli, si rompono meccanismi, si sfaldano rapporti poi impossibili da ricucire. E non è questione di "Binotto doveva o non doveva andarsene", perché se fosse solo Binotto il problema la Ferrari lo avrebbe già risolto da molto tempo. Il vero problema è che "se sei un pilota vai a Maranello per il prestigio, non certo per sperare di vincere un titolo". Così ha detto il campione del mondo Nico Rosberg e così, purtroppo, sembrano pensarla in molti. Da Chris Horner, team principal Red Bull, che ha gentilmente rifiutato l'offerta di passaggio in Ferrari, fino al numero uno di casa McLaren, Andreas Seidl, che ha confermato l'addio dal team inglese per passare in Alfa Romeo Sauber al posto di Vasseur e concentrarsi sul progetto Audi dal 2026. Proprio Seidl, lo stesso team principal che poche settimane fa ha rifiutato il passaggio in Ferrari accettando però la sfida di Sauber-Audi.
Resta il vanto del prestigio a Ferrari, certo. E resta la consapevolezza profonda che, una volta tornata al successo, il suo fascino risorgerà così come è sempre stato. Insostituibile, imparagonabile a chiunque altro. Ma nell'attesa che tornino giorni migliori non si può continuare a pensare al passato, e a guardare i bambini intenti a disegnare macchine rosse immaginando il sogno della Ferrari, perché i no a Maranello sono ormai una realtà. Ed è dalla realtà che bisogna ripartire. Il resto è solo storia.