I piloti del Team Repsol Honda quest’anno ricordano quei soldati che pur di non fare la guerra si procuravano delle lesioni: un colpo di pistola ai piedi, una mano fratturata. Joan Mir si è rotto un dito durante le P2 al Mugello e nonostante avesse ricevuto il permesso di correre dai medici ha preferito rinunciare sia al GP d’Italia che a quello di Germania. Marc Marquez ha fatto lo stesso al Sachsenring alla quinta caduta del weekend che gli ha provocato una frattura al pollice della mano destra e una brutta contusione alla caviglia. Alex Rins, invece, ha riscontrato una frattura di tibia e perone (sempre al Mugello) e difficilmente lo vedremo in pista prima di qualche mese. Se anche i piloti del team ufficiale preferiscono rinunciare a correre, l’unica cosa che giustifica mesi di allenamento, incontri con gli sponsor, ore di lavoro e rischi concreti è perché semplicemente non ne vale la pena. La moto è poco competitiva, ma non soltanto: è anche dannatamente pericolosa. Secondo Taka Nakagami, unico superstite tra i quattro piloti HRC, il primo passo da fare è rendere la moto più affidabile, perché così spingere diventa impossibile: “Ero dietro a Marc prima della caduta nel Warm Up”, ha raccontato domenica pomeriggio. “Non l’ho visto fare niente di sbagliato, stava semplicemente guidando: la velocità era buona, non ha fatto nulla di strano. Ha perso il posteriore, la moto ha ripreso grip e lui ha fatto questo highside spaventoso. Sono spaventato, perché guido la stessa moto e anche per me quella curva (la 7, ndr) è particolarmente complicata. Anche io ho perso più volte grip in quella curva, sia in prova che nella sprint, ed è stata una sensazione bruttissima. La moto continua a muoversi e così perdiamo grip, dobbiamo trovare un modo per rendere la moto più sicura. Ci serve più sicurezza da questa moto”.
L’unico ancora in piedi quindi - per una questione di fortuna, perché anche Nakagami al Sachsenring si è reso protagonista di una caduta spaventosa nel cambio di direzione di curva 11 - sta dicendo che smetterà di prendere dei rischi, limitandosi a portare la moto al traguardo in attesa di qualche miglioramento tecnico: “Non potrebbe andare peggio, normalmente siamo in quattro, con quattro moto, oggi ero l’unico pilota Honda in pista. Spero che tutti gli altri tornino presto, ma è un momento veramente duro”, ha spiegato. “Fortunatamente mi sento bene, spero che Honda abbia qualche idea per migliorare la moto e renderla più competitiva. Non voglio lottare per 15 gare con l’obiettivo di entrare nei punti. Quello che posso fare è continuare a guidare senza prendere troppi rischi, cercando di stare concentrato ed essere competitivo”.
È qui, probabilmente, la grossa differenza rispetto a Yamaha: sono in crisi anche loro, ma non rischiano la vita - un po’ per scelta e un po’ perché i problemi sono altri - ad ogni turno del weekend. Mentre ad Iwata tentano di mantenere la calma e trovare soluzioni, in Honda sembra esserci più agitazione, tanto che per correre ai ripari HRC ha organizzato un test privato a Misano in cui il collaudatore Stefan Bradl metterà a punto nuove soluzioni da proporre ai piloti in vista del test IRTA in programma a settembre. Difficile se non impossibile pensare che il tedesco possa risolvere la situazione: il progetto è da ripensare completamente, ma non è detto che Honda vorrà investire cifre sostanziose in ricerca e sviluppo per una moto che tra tre anni appena dovrà essere nuovamente stravolta a causa del cambio regolamentare atteso per il 2027. Piuttosto, chi ne ha la possibilità proverà ad andarsene. E forse è una possibilità che sta valutando anche la Honda stessa.