Magari il suo è il nome da bruciare. Magari no, e questo significherebbe che davvero la Lega di Serie A sta pensando a Roberto Maroni quale suo nuovo presidente per succedere al dimissionario-dimissionato Paolo Dal Pino. Le prime due votazioni, lunedì scorso, sono andate a vuoto: 17 schede bianche, due nulle e un solo nome valido, quello del consigliere indipendente Gaetano Blandini, direttore generale della Siae, qui in quota Lotito. Si voterà di nuovo la prossima settimana, basterà la maggioranza semplice (11 voti su 20) e i nomi dei papabili, a questo punto, vengono principalmente dalla politica, al punto che l’elezione del presidente della Lega di A pare, in sedicesimo, quella del presidente della Repubblica per litigiosità, veti incrociati e pure per quell’inebriante profumo di cialtroneria che si respira nei giorni delle assemblee.
Il parcheggio e le sale al piano terra della sede di via Rosellini, in questo, sono vagamente assimilabili al Transatlantico di Montecitorio. Tutti i giornalisti che nel tempo vi hanno messo piede, a caccia del commento più o meno polemico o insignificante del consigliere di turno, sanno di cosa si tratta, perché il consesso non è un Circolo degli Scipioni e a descriverlo meglio di ogni articolo resta la sfanculeggiante fuga in scooter di un imbronciato De Laurentiis nel giorno di una presentazione dei calendari vecchia ormai di un paio di lustri.
Maroni, si diceva. Già ministro (dell’Interno e del Lavoro e politiche sociali) in tutti i governi guidati da Silvio Berlusconi, già segretario federale della Lega Nord prima dell’inizio dell’era Salvini, già presidente della Lombardia dal 2013 al 2018, dopo avere rinunciato per motivi di salute alla candidatura a sindaco di Varese, è oggi presidente della Consulta sul caporalato presso il Viminale, ruolo poco mediatico per uno come lui. Cosa c'entra col calcio? Beh, il pedigree c'è tutto: tifoso del Milan, compagno di liceo dell'ad dell'Inter Marotta, numero 11 e capitano della Nazionale politici nei tempi che furono, quelli di Polo e Ulivo. Insomma, se alla Lega di A servisse un uomo di calcio, Maroni avrebbe senso come lo avrebbe quale direttore artistico di Sanremo per il semplice fatto di saper suonare l'Hammond.
Ma la Lega di Serie A - che ha già un manager lautamente stipendiato, l’ad De Siervo - cerca invece un politico vero e proprio, uno che possa andare a trattare con i suoi pari del Governo per portare a casa ciò che sinora non ha ottenuto. I soldi dei ristori, in primis, per sé stessa e non per chi sta alla periferia dell’impero, la riscrittura della Legge Melandri poi, il tutto ragionando in proprio e non più in collegamento con una Figc con la quale i rapporti sono ben più che tesi da tempo - la federazione chiede alla Lega A l’adeguamento dello statuto ai principi informatori del Coni, ma a via Rosellini non ci sentono - e lo sono diventati ancor di più dopo la lettera-questua scritta poche settimane fa da Dal Pino alla sottosegretaria Vezzali e firmata da tutti i presidenti.
Sarà anche per la vicinanza con l'elezione del Capo dello Stato, ma oltre a quello di Maroni circolano nomi di profili altrettanto suggestivi e che potrebbero seppellire la Lega di A dalle risate dei tifosi. Alla rinfusa sono usciti quelli di Pierferdinando Casini, omnipartisan più che bipartisan buono per tutte le stagioni, quello di Walter Veltroni che chissà, magari salverebbe i lettori dalle interviste faziesche con le quali riempie a intervalli regolari due pagine di un quotidiano sportivo, addirittura quello di Sergio D’Antoni. Tutti, peraltro, agli ordini di capitan Maroni in una partita del cuore che i parlamentari giocarono nel 1996 a Verona nella quale il puro Veltroni, dicono i maligni, s’impuntò per entrare in campo con una maglia senza sponsor. Ci sono loro, e sono usciti dal lotto pure i nomi di Angelino Alfano e Francesco Rutelli, in un eterno ritorno che riporta ai tempi del Poltronissimo Franco Carraro e di Antonio Matarrese, quest’ultimo deputato e presidente della Lega calcio quando era cosa diversa, unitaria e meno ricca. Ma lo ha già detto qualcuno: non si esce vivi dagli anni Ottanta.