No, non è un insulto, ma la citazione di quel Costantino Rozzi che, con Anconetani e un pugno di altri presidenti da Borgorosso Football Club hanno reso grande le province italiane da Ascoli a Pisa, grazie a fiuto per gli affari, passione vulcanica e caratteracci da competizione riuscivano a sopravvivere nella serie A più competitiva di sempre. In realtà Zampa era più della schiatta dei Calleri, degli Spinelli, dei Preziosi, animali da grandi piazze (Roma, Genova, Venezia, Palermo) che sapevano guadare mercati stranieri e bilanci con abilità e univano le loro avventure imprenditoriali al calcio professionistico, cercando sinergie (soprattutto geografiche) ma poi facendosi cannibalizzare del calcio.
Non a caso il buon Maurizio sviluppò un rapporto molto stretto con Aurelio De Laurentiis patron dei partenopei e che di questo tipo di presidenti rappresenta l'evoluzione del nuovo millennio. Sponsorizzò il primo Napoli con i suoi supermercati e non superò mai l'affare Cavani, che a Napoli ci andò per 17 milioni di euro pagabili in 4 anni. Quando l'amico Aurelio lo vendette a 70, a Palermo mancava ancora una rata. Mangiallenatori compulsivo - Gattuso non arrivò neanche a iniziare il campionato - ma anche conoscitore di campioni e dirigenti raro (Walter Sabatini, intellettuale raffinato e miglior direttore sportivo italiano per distacco ha detto di lui "mi ha insegnato il coraggio, l'arroganza e la voglia di rischiare"), è stato disinvolto anche nel cambiare città.
Nel 1997 quando gli impedirono di costruire stadio e centro commerciale prima fece la fusione col Mestre e poi fuggì con un pullman a Palermo portandosi via dal ritiro quasi tutti i giocatori. Se ne pentì, lasciò a Venezia un pezzo di cuore ma è a Palermo che sfiorò miracoli (una Coppa Italia persa in finale, le qualificazioni in Europa), scovò campioni (del mondo, anche, come Grosso, Zaccardo, Barzagli e Toni, e poi tanti altri da Pastore a Ilicic passando per Dybala) e tra i mister che ha amato e cacciato troviamo anche chi, come Spalletti e Pioli, ora comandano nella massima serie. "Ho dato tanto al calcio, milioni di euro e risorse umane, senza ricevere neanche un grazie" disse un giorno, ma il commosso Rino Foschi che lo definisce oggi "un fratello, eravamo una cosa sola" dice molto della passione che metteva nei rapporti umani.
Se ne va con l'amarezza e il cuore spezzato per un figlio 23enne scomparso per un malore improvviso, il quinto, l'unico avuto dalla seconda moglie, se ne va a 80 anni, ancora lucidissimo ma non più a suo agio in un calcio che ai geniacci come lui non lasciava più spazio.
Ma tanti oggi lo ringraziano, dopo averlo maledetto mentre ci lavoravano insieme.