Glielo hanno detto mentre era davanti alle telecamere, nel ring post gara. Stava rispondendo alle domande, sorridendo del suo quarto posto in Arabia Saudita, quando gli è arrivata la notizia: “Sei terzo, George. Hanno tolto il podio ad Alonso per una penalità”. Lui ha sorriso, educato. Ci ha pensato un attimo, ha chiesto spiegazioni sulla motivazione della retrocessione dello spagnolo, e alla fine ha alzato le spalle: “Prenderemo la coppa certo. Ma il podio è di Fernando”.
Nessuno avrebbe potuto toglierlo e infatti, dopo una serata turbolenta fatta di corsi e ricorsi con la FIA, il centesimo podio di Alonso è tornato da lui. Era una penalità ingiusta, esagerata, arrivata troppo tardi per permettergli, o anche solo provarci, di colmarla con i risultati in pista.
Lo sapevano tutti che quel podio, il centesimo della sua infinita carriera, doveva essere suo. Perché Alonso non smette, non molla, non arretra. Quando gli hanno comunicato la prima penalità, per essersi posizionato in modo errato nella piazzola di partenza, Fernando non ha neanche provato a replicare, ad arrabbiarsi come avrebbe fatto in passato. “Copy”. Ricevuto. E si riparte da lì.
E che quel terzo posto fosse suo e di nessun altro lo sapeva anche George Russell. Che sorride, davanti alle telecamere, e dice senza doverci pensare che sì “lo ha meritato Fernando”. La frase del britannico non è il frutto di un comunicato stampa pre accordato, dei commenti del pubblico, di un post sui social letto e riletto, scritto e riscritto. George parla come viene, con il sorriso impacciato di chi non sapeva di doversi ritrovare in quella situazione.
C’è tutto di Russell, in quel sorriso. Lui che da sempre ha messo qualcosa di sé, davanti alla competizione. Agguerrito, affamato, come tutti i piloti, ma con un rispetto verso l'altro che raramente vediamo dentro e fuori dalla pista. Che quando di mezzo c'è l'odore dei punti, dei podi e delle vittorie, la sportività prende vie lontane, e l'interesse personale prevale. Ma non qui. Non quando dirlo, e pensarlo in un attimo senza doverci ragionare neanche per un secondo, è sinonimo di una sportività non esibita, ma sentita per davvero.
Una parola, un gesto dimenticato dentro al marasma di una FIA incerta, imprecisa, lenta. Un guizzo, quello di George, che verrà lasciato lì, tra le tante cose piccole di una stagione lunga, complessa, carica di vittorie, sconfitte, numeri e risultati. Ma proprio perché piccolo, e non richiesto, il gesto di Russell ci racconta di lui quello che già sapevamo.
Che la sportività non si cerca, non si insegna e non si insegue. Si sente. Che lo scorso anno a Silverstone, quando saltò fuori dalla sua monoposto per correre ad aiutare gli steward dopo l'incidente di Zhou Guanyu, George Russell già ci avevamo mostrato tutto di lui. Lo aveva poi confermato l'amico ed ex collega Callum Ilott: "La prima volta che mi sono ribaltato con un go kart, George si è fermato in pista per sollevarlo e aiutarmi. È sempre stato un bravo ragazzo sin dal primo giorno, un ottimo modello per chiunque".
Un bravo ragazzo, dal giorno uno. Prima di combattere per arrivare in Formula 1, in Williams, poi in Mercedes. Esordire con la prima stagione davanti a Lewis Hamilton, dimostrare tutto quello che serviva. Prima di tutto il resto, c'era già un bravo ragazzo sotto a quel casco. Dimenticabile certo, perché in Formula 1 conta la velocità e il resto è noia. Contano i numeri, i mondiali vinti, i podi conquistati e tolti come quello di Jeddah.
Ma sotto al casco George ha dimostrato ancora una volta di avere una cosa in più, che nessuna monoposto gli darà o gli toglierà mai. Ed è una lezione per tutti gli altri, dentro e fuori dalla Formula 1.