Quella moto l’ha amata da morire. Perché è stata la sua, perché gli ha permesso tutto e perché insieme hanno vinto tutto quello che c’era da vincere. Fino a credersi, insieme, imbattibili, più vicini al cielo che a quell’asfalto che divoravano senza rivali fino a un maledetto giorno d’estate a Jerez. Era il 2020 e durante la rimonta più forsennata della storia recente della MotoGP, Marc Marquez e la sua Honda stavano regalando al mondo uno spettacolo di ferocia e talento, di tecnica e velocità. Quel limite che, però, per loro sembrava spostarsi un po’ più in là quella volta non si è spostato: caduta brutale e inizio dell’incubo.
Il resto è storia ormai nota: gli interventi chirurgici a ripetizione, la diplopia e una moto che nel frattempo, avendo perso la sua metà perfetta, è diventata dannatamente imperfetta. Quasi normale e inconcludente come è inconcludente un cavallo che rifiuta qualsiasi altro fantino che non sia il suo di sempre. Quella Honda, la RC213V, ne ha rotti altri di piloti e ne ha scalciati via ancora di più, mentre aspettava, appunto, Marc Marquez, insieme a una HRC che non ha saputo generare una alternativa. Come fanno i migliori quando non si accorgono di non esserlo più. Sono rimasti, tutti, in attesa. Che Marc tornasse. Che l’incubo finisse. Ma gli altri, nel frattempo, sono cresciuti fino a passare avanti. Fino a passare oltre, anche alla storia del team più titolato della MotoGP.
Marc Marquez è tornato, ma la sua moto non sembra più la sua. Lo ha confidato in alcuni messaggi privati già nel primo giorno di Le Mans anche a qualche vecchio collega (non possiamo svelare chi) e adesso l’ha detto anche pubblicamente: “A volte cado perché vado troppo piano, con questa moto devi stare sempre sul limite per provare a fare qualcosa di buono. Se la guidi normalmente vai giù”. Come se la RC213V fosse qualcosa da guidare al contrario: o tutto o niente. Che poi è esattamente lo stesso principio che definisce Marc Marquez pilota. Quel Marc Marquez che oggi è a un bivio e che nel cielo della Germania si ritroverà, inevitabilmente, non tanto a esprimere un desiderio, ma a capire se e quanto il suo desiderio – vincere ancora con Honda – è destinato a rimanere tale. Come uno qualsiasi sotto una stella cadente. Solo che questa volta la stella cadente è lui.
In Germania l’asfalto sarà quello di un circuito che gli è sempre piaciuto, in cui ha sempre dominato e in cui nessuno nella storia è andato forte quanto lui. E’ il posto ideale per capire. Per valutare. Per decidere e, al limite, pure per arrendersi. Cadere sembra essere tutto ciò che gli riesce in questo momento. E poi, vuoi o non vuoi, l’orologio biologico dice che gli anni sono ormai più di trenta. Tempo per restare fedele a Honda non ce ne è perché è chiaro che per tornare a vincere potrebbe non bastare una stagione (come ha spiegato anche Carlo Pernat), ma “essere la stella cadente” è comunque un rischio che Marc Marquez vuole correre. Mettendo sul piatto, oltre che le ossa, anche l’imbarazzo di andare a prendere la scia di quelli a cui fino a ieri firmava autografi. La differenza, semmai, sta nel tempo e nei tempi: quella di stella cadente deve essere una condizione provvisoria. E è esattamente anche quello che ha detto dopo il Mugello: “Prendersi dei rischi porta a cadere, ma se cadere serve a capire come e dove intervenire per migliorare questa moto, allora sono disposto a espormi ai pericoli”. C’è orgoglio cieco e smisurato in una frase così e c’è anche la consapevolezza che vincere ancora è possibile. Ma c’è anche tanta amarezza, perché Marc Marquez ha fatto davvero di tutto per tornare, forzando anche la scienza sia subito dopo Jerez sia nelle tre stagioni successive e a questo sforzo, da parte di Honda, è corrisposto solo un nuovo telaio. Nient’altro, davanti a un progetto che invece, come lo stesso Marquez predica da un po’, forse è da rivedere sin dal principio. Perché finire sulla sabbia può anche andare bene, se serve, ma restarci e accettare di essere la stella cadente della MotoGP è qualcosa che a uno che si chiama Marc Marquez andrà bene solo quando sarà lui a deciderlo. Anche perché è da matti pensare che, se davvero sceglierà di lasciare la Honda, tutte le altre case costruttrici (Ducati compresa) non proveranno a garantirsi il pilota che a detta di tutti, avversari compresi, è ancora il numero uno in termini di talento puro.