È il 2014 e si corre il Gran Premio di Suzuka di Formula 1. È una giornata grigia, sul tracciato giapponese nel corso della gara inizia a piovere copiosamente, rendendo le condizioni difficili e imprevedibili. Arrivati alle battute finali, la Sauber di Adrian Sutil impatta contro le barriere e per la sua rimozione è necessario l’intervento di un mezzo di servizio, una gru che qualche secondo più tardi verrà colpita in pieno dalla Marussia-Ferrari di Jules Bianchi, uscito di pista durante il periodo di Safety Car. Una fatalità che, mesi più tardi, costerà la vita al pilota francese, causando uno shock che non impattava il mondo della Formula 1 da quel lontano 1° maggio 1994, il giorno in cui a Imola, Ayrton Senna perse la vita.
Tra l’incidente di Imola e quello di Suzuka, tante cose sono cambiate e non solo da un punto di vista della sicurezza: a cambiare è anche la percezione di chi le gare le vive o le guarda, in quanto, grazie al grande lavoro fatto in quegli anni, l’idea che un altro incidente potesse causare la morte di un ragazzo in cerca di realizzare i propri sogni, era quasi sparita, messa da parte. La competizione al limite sembra la normalità, così come le lotte, i corpo a corpo spesso osannati e delle volte anche gli stessi incidenti, definiti come spettacolari o addirittura invocati per favorire qualcuno o qualcosa. Di tragedie sfiorate in quei vent’anni se ne sono visti tante, eppure la percezione sino a quel momento è diversa. Tutto sembra normale, tutto sembra non poter mai causare il peggio. Poi però arriva Suzuka 2014 a riportare tutti con i piedi per terra: l’incidente di Jules non colpisce solo gli appassionati o chi quel ragazzo fino a quel momento lo aveva conosciuto, apprezzandone il sorriso e la genuinità.
La tragedia di Suzuka colpisce tutti, generando un silenzio e un vuoto incolmabile. Tutti si uniscono al dolore, tutti sperano che da quel gravissimo incidente il francese possa rialzarsi. “Tous avec Jules” diventa più di un simbolo di vicinanza, diventa la testimonianza del segno che quel ragazzo ha lasciato. Un’eredità grandissima, destinata ad oltrepassare i confini del paddock e delle piste. Non contano solo le Nuove barriere, i nuovi dispositivi di protezione che nel recente passato hanno evitato il ripersi di una tragedia, l’Halo su tutti, che alla sua introduzione ha persino fatto storcere il naso. Questa è solo una parte di ciò che ha generato quell’impatto unito alle sue tragiche conseguenze. Altrettanto importante è la nuova consapevolezza che ha generato in tutti coloro che girano intorno al mondo della F1, fortunatamente o sfortunatamente consci di quanto questo mondo possa essere meraviglioso e crudele allo stesso tempo. Sui pass, sui cartelloni pubblicitari si ritorna a prestare attenzione ad una frase in particolare: “Motorsport is dangerous”. Una pericolosità che in realtà non era mai andata via, un qualcosa che forse nella F1 moderna post 1994 si è compreso solo dopo quel lontano 5 ottobre.