Sentiamo dire sempre più spesso che ormai il mondo segue logiche da tifoseria da stadio. Lo sentiamo dire riguardo quel che succede sui social, in partenza, ma ormai sembra che i social siano il solo mondo praticabile, e che anche se non pensiamo che il mondo sia tutto riconducibile ai social, o quantomeno identificabile coi social, finiamo per applicare quelle medesime logiche anche al mondo non virtuale, alla quotidianità, tutto diventa A o B, polarizzato, tifo da stadio, appunto.
Nei fatti il mondo del tifo, quello tirato in ballo spesso e spesso a sproposito non è così semplice come il dover scegliere costantemente tra A o B, senza altre opportunità, perché è vero che le partite si giocano sempre e soltanto tra due squadre, A e B, appunto, ma poi ci sono i campionati, le coppe, le partire della nazionale, e se noi tifiamo A, che è contrapposta a B, e tutti i giocatori che militano in B sono al momento i nostri avversari, poi può capitare che da una vittoria di B contro Z dipenda il nostro piazzamento in classifica, lo scudetto, un posto in Champions, la salvezza, la promozione, quindi di colpo tifare B diventa altrettanto importante che sostenere A, così come potrà capitare che chi gioca in B, nostri avversari, sia un pilastro della nazionale, per cui tutti a fare il tifo per lui. Ci sono variabili, è noto. Talmente tante variabili che magari può capitare che chi allena A, la nostra squadra, ci stia sul culo, per motivi anche logici, razionali, ha cannato tutta la campagna acquisti, è votato a un modulo di gioco che riteniamo sbagliato, punta alle plusvalenze più che al risultato, a onorare la maglia e la bandiera, chi per dire ama Zeman, o Gasperini, non potrà certo apprezzare Conte o Allegri.
Non è mai solo A o B, il tifo da stadio, e siccome sono stato un tifoso di calcio, credo che questa lettura della realtà, come del tifo da stadio, sia fallace. Il fatto è che il calcio in sé è un gioco, uno sport in mano a dei superprofessionisti, ma è notoriamente anche lo sport praticabile anche in assenza di qualsiasi tipo di struttura, basta un terreno in piano, qualcosa per segnare le porte, una palla super economica, volendo neanche una palla vera e propria, motivo per cui il calcio è quello di Cristiano Ronaldo e Messi, ma è anche quello dei bambini in strada, una perfetta metafora del reale. Tanti scrittori assai più bravi e blasonati di me ne hanno scritto, dedicando al calcio parole pregne di senso e di poesia, penso a Eduardo Galeano, Osvaldo Soriano, Javier Cercas, o i nostri Pier Paolo Pasoli, Giovanni Arpino, quindi proviamo letteralmente a applicare le logiche del calcio a una lettura del reale, senza cadere in facili retoriche.
Si può guardare al calcio, e al mondo con cui si guarda al calcio, in tanti modi assai più complessi di come il dire, è una questione di tifo, o A o B, lasci intendere. Si può parlare di gregari che insieme fanno una squadra imbattibile, di uomini dotati di grandi piedi e apparentemente di poco cervello, come se il cervello non fosse anche quello che fa muovere i piedi in un determinato modo, di singoli che si muovono al servizio di un tutto, di individualità capaci di risolvere un problema universale, di uomini potentissimi ma fragili, apparentemente deboli ma capaci di imprese epiche. Si può parlare di calvinismo applicato al calcio, di comunismo, forse addirittura di comunismo compiuto per la sola e unica volta da che il comunismo è stato teorizzato, di calcio totale, di zona, di modulo, di ripartenze, sì, di ripartenze assai prima del Covid, difesa il linea, di difesa a uomo, di ruoli e di assenza di ruoli, di all’inglese e alla sudamericana, e tutto questo e tanto altro ancora concede agio di spaziare in tanti campi del sociale, del politico, dell’artistico, le metafore e i paragoni gentilmente offerti destinati a prendere la forma di praticamente qualsiasi situazione ipotizzabile, centinaia di aneddoti e azioni, e partite e squadre, lì, basta sapere solo dove andare a pescare e quali parole adatte a raccontare il tutto. Si può usare una lingua piana, di servizio, o una barocca, piena di neologismi, alla Gianni Brera, una poetica, alla Jorge Valdano, o una filosofica, alla Socrates, si può essere nostalgici, del bel calcio che fu, o contemporanei, pensare che il calcio in fondo sia ascrivibile a una partita di calcio in un campetto di periferia, le porte fatte con i maglioni arrotolati buttati in terra, o quelle dei supercampioni che sembrano usciti da un frame di Pes o Fifa chissà cosa, si può raccontare le bizze e i capricci di questi neomilionari viziati o raccontare gesti realmente eroici, si può esultare per gli scatti di Bale (dire Giggs, oggi, credo apra dibattiti che col calcio nulla hanno a che fare, neanche metaforicamente) come per gli sguardi di Keane, per gli sberleffi di Gascoigne come per le veroniche di Zidane, per le punizioni di Branco come per i colpi di testa di Skuhravy, tifo Genoa, non so se si è capito, ci si può commuovere per le storie come quelle di Forlan e la sorella o inorridire per quelle contro cui si è ribellato Mario Kempes non dando la mano a Videla, si può fare del pensiero di Passarella sul dover fare i falli per piacere o necessità una propria filosofia di vita o si può ridere dei meme di Neymar che rotola fuori dallo stadio, per non dire dell’infarto di Eriksen al recente Europeo, il gesto eroico di Kjaer, il soccorso, l’abbraccio alla moglie, la squadra a fare da scudo, l’epica del capitano che decide quel che è giusto fare, ne hanno parlato tutti i giornali, spesso in toni decisamente troppo retorici, seppur immagino sentiti, perché si può dire tutto e il contrario di tutto sul calcio, cercando sempre qualcosa che riporti al mondo dello sport il tutto, ma non si può ridurre tutto questo a un semplice A o B, come tutti i santi giorni qualcuno ci chiede di tifare sui social, su qualsiasi argomento dello scibile umano. E tenete sempre conto, se proprio non ce la fate a uscire da questa logica, che prima o poi sulla vostra strada, e sul vostro petto, potrebbe sempre capitare un Eric Cantona pronto a colpirvi con una mossa da Kung Fu.