Non sa più come dirlo, che resterà. Charles Leclerc guarda la telecamera che ha davanti, nel giovedì che apre il weekend di Jeddah, e ripete che il suo posto è a Maranello, che il suo sogno è quello di vincere un mondiale di Formula 1 con la Ferrari, che è vestito di rosso e non ha nessuna intenzione di cambiare quei colori. Quelli che lo hanno portato in Formula 1, passando dalla Ferrari Driver Academy, quelli che da sempre ha sognato, voluto addosso, guardato con gli occhi pieni, giovani. Sono i colori che per troppo poco tempo ha indossato il suo mentore, Jules Bianchi, primo pilota della FDA, e sono quelli che un giorno avrebbe indossato anche lui in Formula 1, se la vita non si fosse messa di traverso, ad impedirglielo. E sono i colori che suo padre Hervé non gli ha visto portare, ma sono quelli che più l'avrebbero reso orgoglioso.
Lo ha detto in tutti i modi, in tutte le lingue che conosce, lo ha spiegato con i gesti che ogni giorno gli vediamo fare. Batte la mano sul petto, sullo stemma del suo Cavallino, toccare le curve della sua Ferrari come un oggetto dal valore immenso, personalissimo, difficile da spiegare.
Dopo giorni di grandi speculazioni, arrivate in seguito al KO in Bahrain e agli addii da Maranello in questo periodo di rivoluzione post-Binotto, Charles Leclerc a Jeddah ha scelto, ancora una volta, la sincerità del suo amore per spiegare le intenzioni sul suo futuro: "Amo la Ferrari, da qui non me ne vado". Resta, il ragazzo prodigio. "Fatto campione prima di esserlo" come ha recentemente sottolineato Arturo Merzario, un vanto che è un orgoglio, per lui che il talento da campione ce l'ha, ma che è anche "la sua più grande condanna". Per il peso delle aspettative di chi campione lo vuole, lo pretende. Di chi su di lui ha riposto le speranze di una Ferrari da troppo tempo non vincente.
"Resto", ripete Leclerc con un orgoglio che gonfia il pezzo e spezza le speculazioni. Al progetto crede, ci deve credere. Crede che con Vasseur le cose cambieranno in fretta, che la macchina tornerà vincente, che i problemi si risolveranno. Crede al suo sogno, perché ce l'ha tra le mani. E la dedizione di un ragazzo talentoso è il più grande perno su cui la Ferrari farà valere le pretese per il rinnovo del contratto di Charles.
È una questione di cuore, è sempre stata una questione di cuore per lui. Che il talento è grande se lo coltivi con il lavoro, e il lavoro non è mai sufficiente se dentro non ci metti qualcosa di più. Qualcosa in grado di farti fare due secondi in un secondo, di trasformare il tempo in risultati, e i risultati in fede.
Come ogni cosa di cuore però, anche questo rapporto va coltivato con l'attenzione che si riserva alle cose più importanti. Perché il cuore si spacca, si sa. E molto più in fretta della testa, del cervello, di ciò che puoi provare a controllare. Non spezzare questo rapporto starà adesso, quest'anno e nelle prossime stagioni, alla maturità di un pilota che ora è chiamato ad essere leader, e alla bravura di una squadra che non deve permettere agli altri, e a sé stessa, di infilarsi tra le pieghe delle insicurezze di un mondo che si muove sempre più in fretta di tutti gli altri. Proteggere il cuore, è la priorità. Per tutto il resto c'è tempo.