Nella storia della Formula 1 c'è un prima e un dopo Lewis Hamilton. Succede sempre quando si a che fare con i più grandi. Non è questione di record, di domini, di tempi e di classifiche, è che tocca a loro, ai campioni, fare da spartiacque tra i tempi di questo sport antico. Quando si prova a metterli in ordine di grandezza, tentando a tutti i costi di scegliere un mito, un gigante, un solo pilota di Formula 1, si va così a sbattere contro la consapevolezza che ognuno di loro - a modo suo - ha cambiato il modo di fare le cose. Ed è per questo, più che per i successi, che verrà sempre ricordato.
Lo ha fatto Fangio, mito di una Formula 1 primordiale, di una passione senza retorica e pubblicità, solo cenere negli occhi e adrenalina. Lo ha fatto Ayrton Senna, che per il motorsport ha dato la vita, che è stato terribile e fragile insieme, che ha scavato dentro l'animo di una generazione che ancora oggi, a quasi 30 anni dalla sua morte, non lo dimentica. Lo ha fatto Michael Schumacher, pilota famelico e agguerrito, volto del duro lavoro, della perseveranza, della voglia di riuscire nonostante tutto e tutti.
E poi lo ha fatto Lewis Hamilton. Il primo pilota nero in Formula 1, il primo - poi - a vincere uno, due, tre, sette mondiali di Formula 1. Il più vincente della storia di questo sport, quello con più pole position, con più podi, con più vittorie, con più titoli mondiali raggiunti (al pari di Schumacher, in questo caso). Anche lui, come i suoi predecessori, è stato spartiacque generazionale, mito irraggiungibile e stella verso cui tendere. Ma anche lui, come chi è arrivato prima nella storia, non lo ha fatto solo dentro i successi di bottiglie di champagne stappate sui gradini più alti degli autodromi di tutto il mondo.
È altro quello che rende Hamilton, nel giorno del suo 38esimo compleanno, il più grande della sua generazione. È la capacità di non dimenticare mai il bambino che è stato, di fare i conti con un passato fatto di difficoltà, economiche, sociali e razziali, e ricordarsele sempre, anche dentro ai giorni dei suoi successi più belli. È il non aver mai arretrato, non essere cambiato per sopravvivere, non essersi fatto spaventare da chi gli diceva, e da chi gli continua a dire, che così come fa lui, le cose non vanno mai bene.
Che si "veste come un pagliaccio", che "sfila nel paddock come fosse sul red carpet" solo perché tra le sue passioni c'è la moda, il vestirsi come gli pare, come gli piace, come chiunque ha il diritto di fare.
Che "sfrutta il colore della sua pelle per far pena agli altri e farsi pubblicità", una frase ripetuta fino alla nausea nei giorni del Black Lives Matter, nelle battaglie portate avanti dalla sua Mercedes, nei primi passi verso la creazione della sua fondazione, la Mission 44, che si occupa di aiutare le minoranze ad entrare nell'elitario mondo della Formula 1.
Che "è poco concentrato sul motorsport" perché fuori da lì, fuori dal circo di un ambiente per cui ha dato tutto, Lewis continua ad essere una persona piena di passioni, vizi, bellezze e particolarità. Che non si è mai annullato per la Formula 1 e che facendolo è comunque riuscito a vincere più di tutti gli altri, mettendo all'angolo anche chi, al contrario suo, fuori dal circus non ha tenuto niente per sé.
Nel giorno del suo 38esimo compleanno la capacità di restare fedele a sé stesso, e di continuare sulla sua strada nonostante tutto, è quello che più splende nella vita, e nella carriera, di Lewis Hamilton. Ciò che rende orgoglioso il bambino che era, quello che ha dovuto lottare più duramente di tutti gli altri per ottenere la metà. Quello che ha visto i sacrifici della sua famiglia, di suo padre, quello che sbattuto la testa contro il privilegio, le discriminazioni, le parole sussurrate alle spalle.
Quel bambino che, grazie alle spalle forti costruite nel tempo delle difficoltà, è diventato un adulto in grado di rispondere con i fatti alle parole. Di arrivare primo, ultimo, secondo all'ultimo giro, e poi di ricominciare da capo. Di essere uomo, prima che pilota, e campione prima di vincente. E di essere il Lewis Hamilton che lui stesso, stella dei kart dal futuro glorioso, non avrebbe mai immaginato di poter diventare.