Lewis Hamilton è ancora affamato. Dopo aver vinto sette titoli mondiali, ed essere diventato di diritto il pilota più vincente della storia del proprio sport, il campione inglese non ha ancora finito il suo lavoro in Formula 1. È così che si cambiano le cose, viene da dire guardandolo, ed è così che si diventa i migliori. Senza accontentarsi, senza pensare di aver già dato tutto e di aver finito quello che c’era da fare. Hamilton non l’ha mai pensato in pista, dove oggi continua a restare attaccato con i denti alla possibilità di vincere ancora, e non lo fa fuori dalla pista, dove lotta per migliore l’ambiente in cui è cresciuto, renderlo più aperto, più paritario, più inclusivo.
Ha fame, è semplice. Fame di successo, certo, ma fame anche di qualcosa di diverso. È da lì che parte la scelta di un passaggio storico in Ferrari che arriverà nel 2025 allo scoccare dei 40 anni di Hamilton. Un bisogno di cambiare, di ricominciare, di mettersi alla prova fuori da un ambiente - come quello Mercedes - che lo ha portato in alto per molti anni, che considera casa e famiglia e che conosce meglio di chiunque altro.
Perché cambiare? Si sono chiesti in tanti. Per i soldi? Per la fama? Per il marketing? Ogni grande storia racchiude anche queste cose, certo, ma non sta tutto lì. E a dirci quanto questo passaggio sia stato voluto, sofferto e solitario è stato proprio Hamilton che - in un’intervista rilasciata alla BBC - ha ammesso: “Non ho parlato con nessuno della mia volontà di passare in Ferrari, neanche con i miei genitori”. Genitori a cui Lewis è sempre stato molto legato e che, soprattutto il padre Anthony, lo hanno accompagnato in ogni fase importante della propria carriera.
“Non l'ho detto ai miei genitori fino al giorno in cui è stato annunciato. Quindi nessuno lo sapeva. Volevo davvero farlo per me stesso. Sentivo di dover scoprire cosa sarebbe stato meglio per me” ha spiegato Hamilton, mettendo in luce una parte umana - in questa grande decisione della sua carriera - che ci racconta tutto di questa fase della sua vita, di questo bisogno di cambiare, di cercare stimoli lontani da un luogo che chiama casa e perché no, anche di inseguire il sogno di un Lewis bambino, di un giovane pilota che non gli assomiglia più ma che, da qualche parte, ancora c’è.