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Lewis, qui ci vogliono più fatti e meno parole. Lo dice anche Jean Todt

  • di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

25 giugno 2021

Lewis, qui ci vogliono più fatti e meno parole. Lo dice anche Jean Todt
Il veganesimo urlato ai quattro venti, imposto anche al suo cane, e poi lo scivolone degli stivali in pelle di vitello indossati in Francia. La lotta sociale che passa dalle t-shirt, gli avversari scomodi e un compagno di squadra che lui, e solo lui, si ostina a difendere. Lewis Hamilton è il pilota più vincente di tutti i tempi ma le critiche fuori dalla pista non accennano a fermarsi. Il motivo? Lo spiega Jean Todt con una frecciatina

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

Lewis Hamilton va veloce. In pista, dove quest'anno si giocherà l'ottavo mondiale di Formula 1 per infrangere anche l'ultimo record che è rimasto sulla sua strada e diventare così, definitivamente, il pilota più vincente di tutti i tempi. 

Ma Lewis va veloce anche fuori. Segue un mondo che cambia in fretta, che chiede, che ti vuole attivista per i diritti dei neri ma anche esperto di moda, musicista, vegano, impegnato quando serve ma frivolo quanto basta. Ti vuole concentrato sul tuo lavoro, sempre il migliore, ma divertente e interessante anche fuori. 

Impossibile essere tutto insieme, direte voi. Ed è così. E' impossibile che una persona, con il suo background e la sua storia, le sue passioni e le sue idee, riesca a mettere i piedi - sempre - nel posto giusto. Non dovrebbe neanche volerlo, perché la storia insegna che le proprie battaglie vanno scelte con attenzione e cura, e portate avanti come solo chi ci crede può fare davvero. 

L'alternativa? Trasformarsi in personaggi, più che persone.

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Ed è questo è il grande problema di Lewis Hamilton. Il motivo per cui, da monarca assoluto del suo sport, non scalda i cuori degli appassionati (tifosi esclusi, ovviamente) come dovrebbe. A Lando Norris basta sfoggiare un casco per sensibilizzare il pubblico al tema della salute mentale per far impazzire tutti, commossi dall'apertura mentale del giovane britannico. A Sebastian Vettel serve solo dare il pugno al suo "figlioccio" Mick Schumacher dopo una gara, o aiutarlo con la posizione del sedile, per far andare in brodo di giuggiole i tifosi più romantici. Mentre a Kimi Raikkonen non serve fare niente, ma proprio niente, per farsi amare così com'è. 

Sembra invece che uno come Hamilton, attivo e impegnato in mille progetti e campagne di sensibilizzazione sociale, non riesca in quello che ad altri viene così naturale. A volte è solo questione di feeling, emozione che Lewis regala in pista - dov'è impossibile anche solo pensare di criticarne il talento - ma di cui è carente fuori. 

C'è qualcosa che ci lega ai più grandi dello sport, ai nostri miti, ed è ciò che li rende vicini a noi. Simili, umani. Persone, e non personaggi.

Il britannico scrive post su Instagram dove "manda amore e serenità" a tutti, scende in piazza contro il razzismo, chiede che ci si inginocchi prima delle gare, parla di veganesimo e pubblica sui social video di macelli di animali per convincere il mondo intero che una dieta 100% vegana sia la soluzione ai nostri mali.

Ma poi quando la F1 annuncia che quest'anno si correrà in Arabia Saudita, certo non celebre per l'attenzione ai diritti umani, lui non dice nulla. E si presenta in Francia con degli stivali in pelle di vitello, scelta non proprio vegana. Mentre su Instagram scrive pipponi sulla body positivity sfoggiando immagini a dorso nudo con un fisico da copertina. 

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Qui non è questione di un passo falso, di un errore di valutazione, di sensibilità, o di una caduta di stile. Scagli la prima pietra chi, nella sua vita, non è mai stato incoerente. Qui si tratta soprattutto di parole al vento, di ideali annunciati in una stories di 15 secondi ma mai portati avanti concretamente, pubblicamente, con la stessa forza con cui lancia i suoi appelli. 

A dirlo è anche il presidente della FIA Jean Todt, che nel corso di un'intervista rilasciata recentemente afferma: "Io ammiro Lewis come pilota. È veramente talentuoso e ha tanto successo e sono felice che sia impegnato nel sociale. Micheal, ad esempio, teneva particolarmente alla sicurezza stradale. Lewis si preoccupa di diversità e credo sia normale. Però c’è tanto lavoro da fare e credo sia giusto spendere belle parole, ma a volte serve anche l’azione. Nel Motorsport, le azioni contano: se sei bravo, vinci; se non sei bravo, non vinci; se non sei affidabile, ti ritiri. Mi piacerebbe vedere da lui più fatti che parole insomma”. 

Una frecciatina neanche troppo velata a un Hamilton che anche quando si parla del suo mondo, la Formula 1, lascia spesso trapelare solo una realtà nebulosa e difficile da interpretare. 

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Il rapporto complicatissimo con l'ex compagno di squadra e amico Nico Rosberg, il suo modo di comunicare con il team e con Bono, il suo inegnere di pista, unico tra i colleghi della griglia, i tira e molla contrattuali, e la difesa maniacale nei confronti dell'attuale compagno in Mercedes Valtteri Bottas. 

Il finlandese ha avuto un inizio di mondiale più che complicato, è impossibile negarlo, e anche all'interno del team tedesco si sono alzate delle voci critiche nei confronti delle sue prestazioni, i cui punti mancanti si fanno sentire in ottica mondiale costruttori, dove Red Bull sta prendendo il largo grazie alla coppia Verstappen-Perez. 

Valtteri arranca, e si fanno sempre più insistente le voci che lo vorrebbe via dalla Mercedes alla fine del 2021, sostituito da un George Russell che Hamilton non vuole, perché lui sì, che gli darebbe filo da torcere. Sarebbe un Nico Rosberg, un battagliero. E ha ragione Lewis a non volerlo, ma sarebbe bello se riuscisse a dirlo. Se dicesse che la squadra funziona perché c'è un primo pilota, lui, e uno scudiero, Bottas, che lavorano insieme per permettere alla squadra di vincere, con il sacrificio del meno talentuoso dei due. Invece no, anche nella conferenza stampa di giovedì in Austria Hamilton dice che "Bottas è un compagno fantastico, ognuno ha avuto i suoi alti e bassi in carriera e non per forza deve essere sostituito". 

Un po' fa sorridere questa risposta, perché è la tipica frase che ci si aspetterebbe da Lewis Hamilton. Sorniona, intelligente, vera ma allo stesso tempo non particolarmente sincera. 

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