L’Inter ha vinto lo scudetto e bisogna farle i complimenti perché questo titolo finalmente è stato conquistato sul campo, con una netta supremazia sugli avversari, soprattutto dall’eliminazione dalla Champions League in poi. Perché Antonio Conte, allenatore dei nerazzurri, è molto bravo e dove va vince (due campionati in B a Siena e Bari, quindi Juventus e Chelsea) ma non ha sufficiente concentrazione per giocarsela su due fronti: c’era da scegliere e ha scelto lo scudetto, in Europa il suo palmares è ancora a zero come per tutti gli allenatori italiani ad eccezione di Roberto Mancini.
Certo l’Inter di Steven Zhang -prima proprietà straniera e per giunta cinese a vincere in Italia- ha dovuto “gobbizzarsi” parecchio per tornare al successo undici anni dopo il leggendario Triplete. Si è presa l’allenatore più juventino d’Italia, uno che sogna in bianconero e sogna di tornare in bianconero ma finché ci sarà Agnelli questo non accadrà, visto che Andrea se gli pesti il piede sull’autobus se lo ricorda per sempre e con lui hai chiuso. Della Juve è stato capitano e tecnico, con la Juve ha vinto tutto ma il suo carattere impossibile è più forte della fede. Uomo preparatissimo ma irrequieto, scontento a vita, polemico di natura, invece di godersi quanto ha fatto sarà già lì ad alzare l’asticella e brontolare. Altro gobbo trasferito a Milano è Beppe Marotta, dopo Luciano Moggi il miglior dirigente nel calcio italiano degli ultimi trent’anni. Mandato via per faide interne, per risparmiare sull’ingaggio milionario e dare più spazio a Paratici e Nedved (ahi!), Beppone non vedeva l’ora di vendicarsi: in due anni ha costruito un’ottima squadra e come a Torino al secondo anno ha vinto.
La gobbizzazione dell’Inter è evidente pure nel gioco, ben oltre l’amato 3-5-2 che Conte applica come un dogma. Il filotto di 1-0 collezionati nel girone di ritorno hanno ricordato la solidità e il cinismo della Juventus di Trapattoni (doppio ex) e di Capello. Niente fronzoli, difesa bloccata, esterni veloci, due punte molto affidabili e tutti disposti a correre e sacrificarsi, una filosofia senza prime donne (sé medesimo escluso, ça va sans dire), l’ha capito persino il danese Ericksen che per conquistare il posto ha dovuto cambiare completamente mentalità dopo mesi di ostracismo.
Insomma, questi dati rendono meno amara la fine del ciclo vincente della Juventus durato nove anni (per rendere l’idea, quando è cominciato un bambino finiva le elementari e ora che è terminato sta all’università) insieme ad altre due questioni non meno importanti. La prima, è che se proprio si deve perdere meglio che sia accaduto quest’anno, a stadi vuoti, senza il pubblico, per uno spettacolo simulacro di sé perché senza la gente sugli spalti le partite non valgono nulla, niente pathos, niente tensione. E infatti li capisco i tifosi interisti convenuti in circa 30 mila in piazza Duomo dopo undici anni, una liberazione, un esorcismo e basta con i soliti moralisti che ci vogliono impedire di vivere, persino i virologi hanno detto che al chiuso quasi non ci si contagia. Non rompessero dunque e li lasciassero festeggiare.
La seconda, davvero fondamentale, l’Inter ha vinto uno scudetto finalmente non inficiato dall’onda lunga della più grande truffa sportiva, Calciopoli o meglio Farsopoli, che assegnò loro il titolo quando arrivarono terzi a diciassette punti. Con la Juve in B e il Milan penalizzato (ma campione d’Europa) chi avrebbe potuto fermare la passeggiata trionfale nel 2007? Poi arrivò Mourinho e con lui il Triplete, ma senza la trama di Guido Rossi e l’imbroglio consumato nell’omertà e nell’indifferenza di tutti, Juventus compresa, molto probabilmente la storia sarebbe stata diversa.
Qui no. Qui c’è il merito sportivo. Inequivocabile. Nessun’ombra. E infatti, da sportivo, il presidente Agnelli ha subito scritto i complimenti al giovane Steven Zhang. Meritati. Solo, loro dicono 19 e a noi questo non risulta. Questioni di lana caprina, soprattutto se ricordo di aver festeggiato lo scudetto 19 della Juve nel 1981, quarant’anni fa. Così, per dire.