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La verità? Il calcio ha bisogno
della Superlega, sennò fallisce

  • di Luca Beatrice Luca Beatrice

19 aprile 2021

La verità? Il calcio ha bisogno della Superlega, sennò fallisce
Alla ripresa dello sport vero, quello con il pubblico sugli spalti, bisognerà offrire qualcosa di attraente soprattutto ai giovani perché, rispetto alle generazioni di oggi, i ragazzi sono poco innamorati del pallone, un’altissima percentuale non lo segue e comunque non impiega tempo e denaro per andare regolarmente allo stadio. Come in altri mondi, anche il calcio si divide tra nostalgia del passato e rischio verso il futuro, probabilmente la verità sta in mezzo ma intanto bisogna ricordare che il calcio di oggi non è uguale a quello degli anni ’70 di quando ero bambino

di Luca Beatrice Luca Beatrice

Da vent’anni esatti lo scudetto in serie A non si muove dalla direttrice Torino – Milano. 140 chilometri o poco più, compresi i campionati contestati di calciopoli, distribuiti tra Juventus, Milan e Inter. E gli altri stanno a guardare, accontentandosi appena delle briciole rappresentate dalla Coppa Italia. Non che all’estero il panorama sia tanto diverso. In Bundesliga, il Bayern sta vincendo il suo nono titolo di fila. In Ligue 1 domina il Paris St Germain dopo il periodo del Lione. Nella Liga se lo spartiscono in due, Real e Barcellona, con il terzo incomodo dell’Atletico che già è un fatto eccezionale. Unico torneo davvero incerto la Premier, sei vincitori diversi negli ultimi vent’anni, compresa la sorpresa Leicester che nel 2016 diede speranza a tutti gli outsider d’Europa.

Inghilterra a parte, dunque, i campionati nazionali sono troppo sbilanciati e stanno perdendo interesse; già prima del Covid in Italia si assisteva al mesto spettacolo di stadi semivuoti. I biglietti e gli abbonamenti costano cari, gli orari delle partite spesso punitivi incoraggiano a scegliere la tv soprattutto per quei tifosi che un tempo si sarebbero spostati ovunque per seguire la squadra. Ora, non da ora, non è più così e alla fine non sono più di una manciata i match davvero imperdibili (i derby, le classiche, gli scontri tra le prime 5-6 in classifica), il resto ben poco spettacolare e piuttosto noioso. Continuando di questo passo, il calcio è destinato a fallire. Alla ripresa dello sport vero, quello con il pubblico sugli spalti, bisognerà offrire qualcosa di attraente soprattutto ai giovani perché, rispetto alle generazioni di oggi, i ragazzi sono poco innamorati del pallone, un’altissima percentuale non lo segue e comunque non impiega tempo e denaro per andare regolarmente allo stadio. Come in altri mondi, anche il calcio si divide tra nostalgia del passato e rischio verso il futuro, probabilmente la verità sta in mezzo ma intanto bisogna ricordare che il calcio di oggi non è uguale a quello degli anni ’70 di quando ero bambino. Ecco alcune differenze: una sostituzione più il portiere e oggi fino a cinque. Si poteva passare la palla indietro al portiere che la raccoglieva con le mani, ora no. Nessuna tecnologia era permessa in campo, a sbagliare era l’arbitro e i due guardialinee, oggi la Var vede un’altra partita e decide. La Coppa dei Campioni era destinata solo a chi vinceva il titolo, oggi è un torneo che include fino a quattro partecipazioni dai campionati più importanti. Senza considerare aspetti più marginali, ma economicamente significativi, come le magliette personalizzate che cambiano colori e design a ogni stagione. Ogni volta che c’è stato un cambiamento si è alzata la critica dei puristi. Criticare è legittimo ma ininfluente perché il mondo va sempre avanti, anche e soprattutto per via degli intoppi e dei traumi.

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Come tanti altri settori dell’industria dello spettacolo, il calcio post-pandemico ha bisogno di uno scossone importante e come sempre accade qualcuno si deve prendere dei rischi forti. Del progetto di una Superlega europea si parla da anni, il tema non è neppure così nuovo ma urgente ne è diventata ora l’attuazione. E così il pallone si spacca, coinvolgendo la politica, presidenti e ministri degli Stati nazionali oltre ai vertici dirigenziali di Uefa, Fifa e federazioni. Da una parte un gruppo di dodici squadre tra le più forti e potenti d’Europa, sei inglesi, tre spagnole e tre italiane, Juventus, Inter e Milan, dall’altra tutte le altre, al momento compatte, comprese Bayern e PSG. Già, ma per quanto?

Forse troveranno un compromesso per salvare capra e cavoli, forse studieranno un meccanismo di attuazione meno traumatico, in ogni caso la strada è tracciata. In non troppo tempo il calcio è destinato a cambiare volto dal localismo dei campionati a un torneo europeo per venti squadre con valori tecnici e bacino d’utenza molto elevati (sennò è inutile invidiare le belle partite di Champions quando quelle che vediamo in Italia nel fine settimana sono di bassissima caratura), un’audience televisiva molto più ampia rispetto a un Sassuolo – Parma o Benevento – Fiorentina, una strategia per tornare a riempire gli stadi e far girare di nuovo più soldi. C’è qualcuno che si lamenta per la scomparsa dello spirito di una volta ridotto a mero business. Spiegategli che il calcio si regge sui quattrini. Il politico smanioso di palcoscenico ritrovato, Enrico Letta, afferma che un meccanismo del genere farebbe scomparire belle storie come il Leicester, l’Atalanta (che non ha vinto niente), l’Ajax (che ha vinto quasi tutti i campionati in Olanda e diversi trofei europei dagli anni ’70). Il sistema si protegge, resiste, cercherà un accomodamento pur sapendo che Andrea Agnelli, Florentino Perez e gli altri “presidenti ribelli” hanno ragione loro.

D’altra parte, il calcio è ancora fenomeno da bar e come tale si basa su visioni opposte. Discutere della partita, che bello, solo che io preferisco accapigliarmi su Manchester City – Juventus piuttosto che su Juventus – Verona, senza offesa per nessuno.

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