L’ultima giornata della scherma individuale si chiude in modo agrodolce: la medaglia sul collo dell'atleta italiano Filippo Macchi è d’argento. L’oro rimane al campione di Tokyo 2020, l’hongkonghese Cheung Ka Long, al termine di un assalto che definire combattuto è riduttivo. Ancora una volta la maledettissima ultima stoccata, quella sul 14-14 che nessuno schermidore vorrebbe mai vivere, non sorride alla scherma azzurra. A condizionare l’esito sono tre stoccate dubbie, tre di fila, su cui l’arbitro decide di aiutarsi con la moviola. Le prime due sono talmente dubbie che né l’arbitro né l’assistente se la sentono di valutare: pas de touche, tutto da rifare.
La prima delle due stoccate, probabilmente, era un attacco da sinistra che avrebbe di fatto premiato il fiorettista azzurro. Il secondo era un dubbio totale, anche per chi vi scrive, ma sulla terza e ultima stoccata non c’è stato alcun dubbio: attacco da destra sul ferro tocca. Nessun furto, solo la volontà di essere sicuro su tre stoccate dubbie e divisive. La protesta ufficiale presentata dalla Federscherma al termine della gara è legittima, ma sarà quasi sicuramente vana. Il fioretto è un’arma convenzionale: ha delle regole particolari, un bersaglio limitato e, soprattutto, è l’arbitro ad avere l’ingrato compito di interpretare le stoccate. Questo lo sa bene chi conosce la scherma e lo sa benissimo anche Stefano Cerioni, CT della nazionale di fioretto, che si è fiondato urlando contro gli arbitri prima della stretta di mano per ribadire la sua indignazione per le decisioni prese, rischiando anche un cartellino nero per antisportività.
Più che parlare di delusione avrebbe senso dare risalto al quasi miracolo sportivo realizzato da Filippo Macchi, autore di una gara impeccabile e chiusa non come avrebbe voluto ma come nessuno avrebbe immaginato, ben al di sopra delle più rosee aspettative. L’argento insperato di Filippo Macchi arriva al termine di una giornata che, nella sciabola femminile, ha dato dolori a Martina Criscio, Michela Battiston e Chiara Mormile, eliminate ai sedicesimi dopo aver tirato in maniera tecnicamente ottima ma purtroppo con avversarie di livello pari o superiore e con la sfortuna di aver trovato tardi la tattica giusta.
Lo stesso discorso vale anche per il fioretto: le eliminazioni non sono state frutto di errori tecnici o di scarsa lucidità ma di un livello sempre crescente del movimento schermistico a livello mondiale. Sulla spada, arma che a chi vi scrive ha regalato gioie e dolori nella precedente vita agonistica, è mancato qualcosa dal punto di vista tecnico, sicuramente non si è vista la lucidità di capire quando partire in fleche e quando invece scegliere la via della preparazione per chiamare l’avversario e chiudere in parata e risposta, ma ad accentuare le difficoltà è stato il livello altissimo degli avversari.
La scherma italiana è ancora rappresentata da eccellenze, e l’argento straordinario di Filippo Macchi nel fioretto come anche il bronzo di Luigi Samele ne sono la perfetta testimonianza. L’importante adesso è che i nostri portacolori non si lascino travolgere dai risultati al di sotto delle aspettative e tirino fuori tutta la grinta per le gare a squadre.