Simone Biles, la ginnasta che ha rivoluzionato la ginnastica contemporanea, divenendone la più forte di tutti i tempi vincendo tre titoli mondiali consecutivi, 30 medaglie mondiali di cui 23 d’oro e 7 medaglie olimpiche di cui 4 ori: compreso il titolo individuale e quello con la squadra. Lei che dopo aver vinto tutto, nel palcoscenico più importante le Olimpiadi di Tokyo 2020, si è mostrata fragile, vulnerabile, umana. Una breve dichiarazione, prima del ritiro: “C’erano delle voci molto forti nella mia testa. Devo decidere cosa è meglio per la mia salute mentale. Sentivo che sarebbe stato meglio mettermi in secondo piano per lavorare sulla mia consapevolezza e sapevo anche che le ragazze avrebbero comunque fatto un ottimo lavoro”.
Lei che nel corso della competizione ha avuto un caso di “twisties" episodio in cui è come se la mente e il corpo di una ginnasta non fossero sincronizzati, episodi pericolosi vista la difficoltà degli elementi. Mettendo così in luce la debolezza e lo stress che subiscono gli atleti, affermando: “Portare alla luce il tema della salute mentale è qualcosa che le persone devono affrontare ma allo stesso tempo è un argomento che spesso viene tenuto nascosto. Sento che non siamo solo intrattenimento, siamo anche esseri umani. Abbiamo sentimenti e le persone non capiscono cosa stiamo passando”
Difficoltà che ha scelto di raccontare nel documentario, molto toccante, appena uscito su Netflix chiamato “Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi” due episodi che seguono la ginnasta mentre concilia la sua vita personale, il suo percorso di salute mentale con una riflessione sulle pressioni schiaccianti, sulle lotte interiori e su un salto cruciale che a Tokyo ha stravolto tutto, ma anche gli allenamenti in vista dell'atteso ritorno alle Olimpiadi.
Nonostante la pessima traduzione italiana, che traduce "Artistic gymanstic” con atletica, la serie tv inizia con tutte le narrazioni da parte di giornalisti e commentatori che puntavano tutto su di lei, caricandola notevolmente di aspettative e pressioni. Simone Biles, esempio ed ispirazione per le giovani ginnaste, mostra e racconta le difficoltà di saper gestire le aspettative, le voci che sentiva dentro di se “ho lottato contro i miei demoni in ogni allenamento”, evidenziando quanto sia importante circondarsi dalle persone giuste come la famiglia, il marito, l’allenatore che aveva compreso subito il suo malessere ma soprattutto le compagne di squadra che le hanno dedicato la medaglia olimpica affermando: “Senza di lei noi non saremmo mai arrivate a questo punto”.
Ma anche la difficoltà di non avere il supporto del pubblico, il vivere completamente staccate dalla solita routine a causa del Covid-19. Silenzio, solo silenzio nella testa, l’ansia di non avere le cose sotto controllo, dal respiro alla prestazione in sé, ma soprattutto la toccante chiamata alla mamma, appena uscita dal palazzetto. La vergogna del fallimento, quella per non aver mantenuto le attese, la caduta della campionessa che si è mostrata umana, una delle cose più difficili da fare come ha raccontato: “la gente mi mette su un piedistallo, io pretendo solo di essere umana”.
Il ritorno alle gare dopo più di due anni, ai Mondiali di Anversa in Belgio, che le ricordavano Tokyo e la paura di farsi male, ma è riuscita a far tacere i demoni e a riscrivere la storia portando il “Biles2”, il quinto movimento con il suo nome. Ora a Parigi è arrivata, con i riflettori puntati addosso, perchè è tornata in grande stile, vincendo i Trials Americani con un punteggio totale di 117,225 punti, presentando elementi davvero interessanti dal volteggio dalla difficoltà I, ed inventando una grande novitа alle parallele asimmetriche, ovvero una variante del Wilhelm Weiler: un giro avanti 540° fino alla verticale.
Alla fine ha dichiarato: ”Sapevo che sarebbe successo se avessi ripreso ad allenarmi, ma era davvero difficile fidarmi di me stessa. La parte mentale è stata più dura di quella fisica. Sapevo che sarei tornata”. Ma lei è tornata, come una fenice è risorta, lei che di se stessa ha detto: “Non sono il prossimo Usain Bolt o Micheal Phealps, sono la prima Simone Biles” e aveva solo bisogno di ricordarselo. A Parigi è pronta a scrivere lei il suo finale.