24 giugno 2011. Ad Assen un vento tiepido spazza via i nuvoloni e lascia libertà d'azione al sole, che asciuga l'asfalto, che scalda l'atmosfera di un sabato di qualifiche della MotoGP. Loris Capirossi naviga nelle retrovie della classifica con una Ducati Pramac in grave crisi tecnica. Negli ultimi minuti tenta un disperato attacco al tempo con la gomma morbida al posteriore. A qualche istante dalla bandiera a scacchi sul monitor dei tempi si accende un casco blu in corrispondenza del numero 65. Loris si sta migliorando, dopo un buon primo intertempo può puntare ad una dignitosissima quarta fila in griglia di partenza - il massimo delle possibilità considerata la Desmosedici GP11 non aggiornata con cui deve fare i conti. Poi accade qualcosa che gli obiettivi delle telecamere non colgono: nel cambio di direzione tra le curve 6 e 7, a quasi duecento orari, la Ducati scaraventa Loris in aria, prima di ricadergli addosso. Una commozione cerebrale, una lussazione della spalla destra, due costole rotte. "Avevo deciso di smettere prima della morte del Sic, mentre mi trovavo sotto la moto dopo una caduta ad Assen, in Olanda. In quel momento pensai 'basta, è ora di finirla'. Lo comunicai a tutti, da lì in poi si trattava solo di concludere la stagione. Non pensavo poi di vivere una giornata come quella che portò via Marco, tremenda, bruttissima. Non vedevo l’ora di piantarla, davvero" - ha raccontato Loris a Giorgio Terruzzi, nel corso di un'intervista sulle pagine del Corriere della Sera.
Jorge Lorenzo ha deciso di smettere dopo una rovinosa rotolata nella ghiaia della curva sette di Assen, nel 2019. Valentino Rossi ha visto il capolinea due anni più tardi, seduto nella ghiaia della stessa pista, della medesima curva. Fa effetto venire a sapere, dopo più di una decade, che la curva sette di Assen sia stata fatale anche per la carriera di Loris Capirossi. Come se le leggende della MotoGP dovessero obbligatoriamente scendere a patti con una ghiaia olandese - sempre quella - che non lascia scampo. E pensare che Capirex ad Assen, nel 2000, corse con una mano fratturatasi il giorno stesso, nel warm-up. Il dolce eloquio del Dottor Costa, supplicato da Loris, convinse l'equipe medica olandese a concedere il 'fit to race' al 65. Capirossi arrivò terzo, sul podio, davanti a Biaggi e a Rossi. Quel Valentino, ragazzino terribile, che Loris regolò anche l'anno prima in 250cc. Dove? Sempre ad Assen. Chiaro, ma dove di preciso? All'ultima curva. Battere Valentino Rossi è già complicato di per sé, farlo all'ultima curva è roba per pochissimi eletti. Loris nel 1999 vinse infilando Vale alla "esse" finale del TT dopo una battaglia epica. "Ci ho messo due anni ad accettare quella sconfitta" - ironizzò una volta Rossi a "Sfide" su Rai 1, prima di asserire: "Tra me e Loris c'è un grandissimo rispetto. Capirossi mi ha sempre trattato benissimo, anche quando lui era già campione del mondo e io avevo 14 anni. A Brno mi ha fatto dormire nel suo camper la sera prima di una gara. Se gli chiedevo alcune cose me le portava sempre. È sempre stato davvero un grande con me". Loris che oggi, al microfono di Terruzzi, non ha avuto dubbi: "Se mi è mai capitato di invidiare Valentino, anche solo per un momento? No, mai. Valentino è stato semplicemente più bravo di me. Formidabile in pista e magari, a differenza mia, molto categorico nelle sue scelte. Cambiando squadra, scegliendo le persone che avrebbero collaborato con lui. Io ero più accomodante. È passato alle auto e smetterà di correre a 50, a 60 anni. Ha una passione, una vitalità senza fondo. Valentino è eterno".
Capirex non è accomodante, ma umile, modesto, leale. Coraggioso e talentuosissimo, sì, ma soprattutto altruista. Loris si è sempre speso al massimo per gli altri, anche quando gli altri, al suo posto, si sarebbero risparmiati. Altruista in pista come nella vita. Sono indelebili le immagini di Loris Capirossi che doma la Ducatona scorbutica e recalcitrante dei primi anni duemila. Quel Capirossi che sulla Rossa soffriva, si spremeva, faceva i salti mortali ogni due curve e rischiava la vita tutte le domeniche: "Australia, anno 2005, caduto in fondo al rettilineo. Nell’impatto mi esplose un polmone. Sul momento non sembrava una situazione di estrema gravità. Con mia moglie, mio padre e un medico andammo in auto sino all’ospedale più vicino a Phillip Island. Ci arrivai praticamente morto, con una autonomia vitale di un minuto e mezzo. Mi piantarono un tubo tra le costole da sveglio, senza anestesia e quel momento non lo dimenticherò mai più". La verità è che Loris voleva portare quella Ducati in alto a tutti i costi, per vedere i suoi meccanici e la gente di Borgo Panigale - l'Italia delle due ruote - gioire insieme a lui. La storia della Ducati che oggi domina la MotoGP è nata con Loris Capirossi, nel 2003, tra mille fatiche e soddisfazioni sudatissime: "Forse è avvenuto tutto troppo presto. Penso che avere avuto la Ducati di oggi ai miei tempi, avrebbe comportato un gran divertimento. Pazienza, mi è andata bene lo stesso".
A Capirossi, al pilota che mette gli altri davanti a se stesso, si vuole un gran bene. Perché niente è cambiato nell'uomo che all'ultima gara in carriera strappa il suo 65 dal cupolino per mettere il 58 di Marco Simoncelli. Niente è cambiato in Loris che oggi, a 13 anni dal ritiro, si occupa di sicurezza in pista. Si danna affinché gli altri non si facciano male. Male, di Loris Capirossi, non sentirete mai parlare.