Dal New York Times al Premio Selezione Bancarella del 2017, Luca Dal Monte è una delle penne più interessanti del panorama della narrativa sportiva italiana, divenuto noto al pubblico con la prima monumentale edizione della biografia di Enzo Ferrari, “Ferrari Rex”. Uno sguardo attento, preciso, intriso di passione è quello che caratterizza Luca, che dopo anni di esperienza nel mondo del paddock ha scelto di raccontare questo sport con il suo sguardo, focalizzandosi anche sugli aspetti più nascosti. È recentemente uscito con un nuovo libro, caratterizzato da un punto di vista insolito e spesso non raccontato. Con “Le ragazze del muretto: donne in bilico nella Formula 1 degli anni Settanta” si apre alla visione femminile, in un mondo - quello del motorsport - che sempre di più negli ultimi anni guarda al suo lato più nascosto.
Com’è nato quest'ultimo libro? Come lo descriverebbe?
Non volevo fare un libro di interviste, ma un romanzo, un pò come che ho fatto con “Belli e Dannati” e la stagione 70 si prestava benissimo. Tre piloti che si sfidano per il titolo del mondo: Jochen Rindt, Jackie Stewart e Piers Courage, e tre donne che per amore sfidano le loro paure: Nina Lincoln, Helen McGregor e Sally Curzon. All’inizio della storia ci sono tre coppie, che diventeranno due, per poi rimanere una soltanto.
È stato difficile da scrivere?
Si, perché è un libro a cui sono molto legato e che ha avuto una gestazione molto lunga. L’ho iniziato a scrivere contemporaneamente al primo “Belli e dannati”. È stata una sfida, è stato difficile scriverlo perché, durante la ricerca, ho visto quanto facile potesse essere cadere nel banale o non dare la giusta importanza alle storie di queste donne. Penso sia un libro che mancava nel panorama, perché la donna nel motorsport in quel momento non era considerata, mentre invece quelle donne davano una connotazione ancora più forte a un mondo di uomini normali ma temerari.
Come ti è venuta l’idea di scrivere di donne in un ambiente, e in un periodo, in cui spesso erano "personaggi secondari"?
Tutto è partito dal fatto che sono appassionato della F1, in particolare quella degli anni ’70. Ho avuto la fortuna di parlare spesso con i protagonisti e una domanda che facevo sempre era: ”Perché fai questo lavoro?”. I piloti potevano essere spinti dalla passione, dal fatto che fosse l’unica cosa che erano in grado di fare, dalla vittoria o dalla gloria. Ma alle loro donne chi glielo faceva fare? Loro non cercavano la fama; anzi spesso ne stavano distanti, come Nina Rindt.
Che donne erano?
Erano donne fragili che avevano imparato ad essere forti, che stavano insieme ai loro compagni per amore, che molto spesso vivevano vicine per supportarsi a vicenda, perché la vita del paddock la si capisce solo se la si vive. Ma erano soprattutto donne mature, che avevano uno sguardo diverso da quello dei mariti sul motorsport e sulla sua pericolosità.
Qual è l’intervista a queste donne che ti ha toccato maggiormente?
Sicuramente la chiacchierata con Nina Rindt, sia per il fatto che Jochen è l’unico campione del mondo postumo sia perché si è aperta raccontandomi quella parte di F1 che dai libri non riesci a cogliere. Mi sarebbe piaciuto parlare anche con la moglie di Jackie Stewart ma purtroppo non è più in condizioni che lo permettano.
Quale donna vorresti aggiungere, se il libro non fosse ambientato negli anni ’70?
Domanda difficile, ma ti direi Margherita Bandini, la moglie di Lorenzo, per la storia e il fatto che fosse italiana. Non potrei non dire Joann Villeneuve, una donna che è rimasta nell’ambiente, interessata alla F1 contemporanea, ma anche per tutto quello che era il loro modo di vivere il motorsport, la loro vita in camper, il rapporto con Gilles.
Ora le donne ambiscono alla F1, tu che studi la storia del motorsport ti saresti aspettato questo cambiamento?
Si, era ora! Fortunatamente il ruolo delle donne sta cambiando. Non sono solo ingegneri ma si inizia nelle formule minori, anche se ci sono già state, come Maria Teresa De Filippis, una donna che ha combattuto sia in pista sia contro i pregiudizi. Anche per questo, nel mio piccolo, ho voluto scrivere di donne nel motorsport.
Sei diventato conosciuto al pubblico con Ferrari Rex, te lo aspettavi? Sei soddisfatto?
No, non me lo aspettavo ma ci speravo, anche se non avrei mai pensato potesse essere una cosa così grossa. È stato un lavoro di ricerca, che mi ha permesso di conoscere persone speciali che mi hanno raccontato anche aspetti meno noti di Enzo Ferrari. Ho voluto scrivere questo libro cercando di fare qualcosa di diverso, non la solita biografia. E questo non sarebbe successo se non fossi stato a Modena e avessi incontrato persone vicine ad Enzo, che si sono fidate di me. È stato un libro che mi ha svoltato la carriera, e che nonostante lo scetticismo iniziale per un argomento già affrontato da altri, ha riscontrato successo in tutto il mondo.
Hai qualche libro in cantiere? Progetti futuri?
Ho varie idee e mi piacerebbe anche iniziare a scrivere di personaggi al di fuori del motorsport. Il 4 giugno, ad esempio, uscirà un libro sul mio concittadino e amico, Luca Vialli. Inoltre sto lavorando come consulente alla serie di Apple + TV tratta dal mio Ferrari Rex, ed è un bel progetto che sta prendendo forma.