È un anno di folli traguardi quello dell’Italia nel mondo. È cominciato con la Coppa America, a cavallo dell’anno che cambia, con Luna Rossa in uno sport bellissimo ma difficile da seguire per chi non lo conosce. Poi il tennis: Matteo Berrettini è stato il primo italiano della storia ad arrivare a Wimbledon, giocandosi la finale con un Novak Djokovic pronto ad abbattere ogni record. La sera stessa, a Wembley, gli Azzurri hanno battuto l’Inghilterra ai calci di rigore. Inventiva, ma anche talento e tutto il resto, per vincere contro un popolo che si era detto fin troppo sicuro. Abbiamo goduto di più, è stato più bello. Non c’è stato lo sport, ma il trionfo dei Maneskin all’Eurovision aveva avuto (quasi) lo stesso sapore, almeno prima delle polemiche sul rock e la cocaina.
Oggi però è stato a Tokyo che l’Italia ha scritto la storia. Due medaglie d’oro nell’atletica leggera, la disciplina che meglio di ogni altra racchiude lo spirito dei Giochi. Gianmarco Tamberi vince l’oro saltando a due metri e trentacinque di ritorno da un infortunio, Lamont Marcell Jacobs si abbatte come un tuono sui cento metri fermando il crono a 9”80. Alla pari con Usain Bolt, niente di meno. Sarà bello per chi corre, per chi vorrà farlo, per chi salta. Sarà bello perché qualcuno dirà di voler essere come lui, come loro.
C’è chi scrive di un paese che vuole rinascere dopo la pandemia, rialzarsi e cantare l’inno con la fierezza di chi ha ancora l’orgoglio, farlo per l’Italia. Ma sono cazzate e lo sa anche chi le ha scritte. Se lo si pensasse davvero sarebbe degradante per chi, ogni giorno, quei risultati li ha inseguiti col sangue agli occhi. Sono traguardi che derivano dal sacrificio e dalla passione, dal talento e dall’inventiva che, quella sì, non ci è mai mancata.
Adesso serve raggiungere il climax, almeno per chi vive di motorsport. Perché lo sport è bello ma il motorsport è oltre, almeno per qualcuno. Se per Ferrari bisognerà avere pazienza - chissà quanta - per Ducati forse no. Perché può essere l’anno giusto nonostante i punti che attualmente vedono Fabio Quartararo a 34 punti da Zarco e 47 da Bagnaia. Ma l’Italia è questo, è andare contro il pronostico. Come i Maneskin con la francese, l’Italia con la rete di Shaw al secondo minuto. Come Jacobs e Tamberi che, nonostante tutto, non partivano da favoriti.
Per la Ducati arrivano due Gran Premi importanti, entrambi su quel Red Bull Ring in cui la Desmosedici è sempre stata la moto da battere. E c’è stata la pausa ma, a ben vedere, non siamo nemmeno a metà delle gare in programma. A Pecco Bagnaia manca ancora qualcosina ma potrebbe averla già trovata. Ecco, sognamo per un attimo: lui che viene dal Piemonte, che ha vinto con una moto indiana ed è cresciuto con la VR46, a cui ha regalato un mondiale. Lui guida una Ducati rossa, ufficialissima, sempre più competitiva e sempre più lontana dall’unico titolo vinto nel 2007. Se dev’essere l’anno dell’Italia nel mondo, che lo sia anche per loro. E un po’ per noi.