Domenica 31 marzo comincia il mondiale. Si parte dalla Malesia, non dal Qatar. Ed è un casino arrivarci perché non ci sono gli smartphone, non ci sono i pc e internet è ancora roba da nerd. Figurati quanto può costare un biglietto aereo: non ci sono nemmeno compagnie low coast. È selvaggia la Malesia degli anni Novanta, selvaggia come la racconta Tiziano Terzani, senza turismo di massa ma farcita da ogni genere di distrazione a uno schiocco di dita. Fare il pilota è rock n’ roll. Nel 1996 non si correva a Sepang, si andava a Shah Alam per il Marlboro Grand Prix of Malaysia. Marrrlboro. Benzina e sigarette. Il punto è che a 27 anni esatti da oggi, signori, in Malesia si consumava una rocambolesca tripletta italiana: Luca Cadalora vince in 500, Max Biaggi domina in 250 e Stefano Perugini arriva davanti a tutti con la 125. Merce rarissima anche per quei tempi La 500, sui tre chilometri e mezzo di circuito, ci gira con tempi da Sachsenring: un minuto e venti, per la precisione 1:23.987 con la pole position di Okada del ‘96. Poi via, per 33 giri con un missile a due tempi sotto al culo: roba da mastini con la schiuma alla bocca. Chissà quella tripletta come l’avrà raccontata la Gazza.
Scopriamo, a distanza di 27 anni, che il clamoroso evento storico è un altro: Valentino Rossi. Si, sempre lui, che volete farci. Valentino corre la prima gara della sua carriera nel motomondiale con l’Aprilia della Scuderia AGV. Moto giallissima come il casco di Kevin Schwantz, azzurro Polini, casco sole e luna con quelle grafiche da murales di Brooklyn. Valentino arriva sesto al traguardo prima di tirare la moto nella ghiaia per buona parte della stagione. E un po’, adesso, ci viene da ridere. Roberto Locatelli dice che i piloti vanno ammazzati da piccoli, ma che ne sapeva il povero Max Biaggi, lui che veniva da due mondiali in fila e stava per vincerne altrettanti. Che ne sapeva Luca Cadalora che si sarebbe ritrovato un cappellino blu con scritto Coach in bianco per osservare Valentino da bordo pista. A quella prima mondiale mai dichiarata c'era pure Mick Doohan, che a Rossi lasciò l’eredità di Jeremy Burgess e della sua squadra micidiale qualche anno più tardi, così come c’erano Alberto Puig e Lucio Cecchinello, anche loro ignari. Ma poi che ne sapevamo noi, che quello lì avrebbe cambiato un po’ la vita di tutti? A qualcuno l’ha proprio sconvolta, ad altri l’ha agitata e magari c’è anche chi se l’è vista ridimensionata e ridotta, ad ogni modo oggi nessuno si lamenta più.
27 anni fa non c’era l'iPhone ma non c’erano nemmeno le scenette di Vale, le interviste improponibili sulla polleria Osvaldo, la bambola gonfiabile e tutto quello che c'è stato in mezzo. Mica lo si può scrivere, non basta lo spazio. Bisognava inventarlo Valentino Rossi e serviva in quel momento lì, quando non c’erano i social che ti fanno vedere tutto finché finisci per non vedere più nulla. Un bel regalo Valentino, un bello scherzo. Quest’anno è la prima volta che festeggia senza correre nel motomondiale e lo fa correndo in macchina a Imola. L’uomo che vede il futuro, lì in Malesia, avrebbe potuto dirgli che dopo un quarto di secolo passato a farsi conoscere nell’ambiente sarebbe riuscito ad entrare nel circuito automobilistico: ci metterai un bel po’, ma vedrai che ci arrivi. Un bello scherzo, un gran regalo. Ed è come se Valentino avesse lasciato a tutti un pezzettino di genetica, perché se oggi vai in moto è anche colpa del suo quarto di secolo nelle corse. Il Doc è un grosso vaffanculo ai teorici del business never sleeps, del lavoro per venti ore al giorno e delle docce gelate alle cinque della mattina. Quelli che prendono le vitamine per lavorare meglio alla scrivania e sono sempre in cerca della prossima scarica di puttanate motivazionali elargite da sconosciuti. Valentino dorme, arriva tardi, fuma sigarette, va alle serate, vince in monoruota. Valentino è - e sarà sempre - tra i piloti più grandi della storia perché si è sempre divertito. Perché gli piace, perché gli dà un gran gusto. Di questo e basta dobbiamo ricordarci: il gusto e la goduria, un po’ di leggerezza, un’improvvisazione. E questo è tutto.