È stato un venerdì di guerriglia quello di Marc Marquez, concluso con l’8° tempo di giornata e l’ingresso diretto in Q2. Nessun approccio graduale, niente “step by step”, solo un costante all in come il documentario presentato da lui e dal suo entourage un paio di mesi fa. “Marc Marquez è tornato”, ha detto a Sky Davide Tardozzi piuttosto contrariato alla fine del secondo turno di prove. Una sintesi piuttosto precisa con cui si è trovato d’accordo anche il diretto interessato: ”So che la maggioranza dei piloti si approccia con calma al rientro", ha detto Marc a fine giornata. "Ma io non sono così e se torno è perché sono pronto a correre, a spingere e a lavorare per la squadra. Questo per me significa guidare la moto al limite. Chiaramente potrei accontentarmi di essere mezzo secondo più lento delle altre Honda e trovarmi fuori dalla Q2, ma non è il mio stile".
Il suo stile, semmai, è quello di spingere sempre un po' più in là in tutte le direzioni. Pecco Bagnaia è stato chiaro quando gli abbiamo chiesto di quegli ultimi minuti fondamentali per la qualifica, quando Marc gli si è attaccato : “Lui ha un approccio più estremo anche nel gioco delle scie, ti segue e se tu ti fermi mettendo giù i piedi sai che lui farà lo stesso, fermandosi e mettendo giù i piedi”.
Ed è esattamente quello che diceva di lui qualche anno fa Valentino Rossi, un pensiero sintetizzato piuttosto chiaramente dopo il disastro del GP d’Argentina 2018: “È una situazione secondo me molto pericolosa", aveva raccontato alla stampa. "Marquez non ha mai nessun tipo di rispetto per i suoi avversari. Alza il livello della competizione ad un livello che è pericoloso, per tutti. Spero che in Race Direction facciano qualcosa, loro hanno una grande responsabilità e non devono più farlo comportare così. Anche tutti gli altri alzano il livello di aggressività e siccome è uno sport pericoloso va a finire male, perché dopo cinque gare ci troviamo con metà della griglia”.
Rispetto ad allora però, quando Marc scrollava le spalle e chiedeva scusa, è cambiato il suo modo di porsi, più lontano dalle frasi di circostanza e decisamente “putilla”, aggettivo che lo stesso Marquez si attribuisce traducendo in “bastardo”. L’ennesimo esempio di questo approccio ce lo restituisce quando gli chiediamo se non sia eccessivo buttarsi a terra come fosse ancora nei suoi vent’anni dopo tutti gli infortuni da cui è uscito a fatica. “L’unico incidente che era possibile evitare è stato quello del mattino, perché era legato alla scelta delle gomme”, la risposta di Marquez. “In quel caso mi sono detto che non era necessario. Ma l'incidente del pomeriggio no: quando sono passato sul rettilineo rovisto che ero ottavo e ho deciso di spingere. Ho pensato che avrei provato a migliorare il tempo sul giro per finire in Q2 e che se fossi caduto avrebbero messo una bandiera gialla e gli altri piloti non avrebbero potuto migliorarsi”.
C’è altro da aggiungere? Così non è sportivo, dice qualcuno. Eppure sentirlo così ha un sapore diverso, autentico, roba che ti aspetti da un pilota di altissimo livello. Questo è Marc Marquez, un bastardo. E lo è sempre stato come lo sono sempre stati i vincenti. Nico Rosberg nel 2016 organizzava grigliate di carne sotto la finestra di Lewis Hamilton, perché il compagno di squadra era (ed è tutt’ora) vegano ed innervosirlo era fondamentale. Schumacher, Senna: bastardi. Valentino Rossi chiese un muro nel box. Quando Marc dice che le due opzioni sono migliorarsi o bloccare la pista con una caduta è solo più sincero del solito, non ha cambiato il modo di fare le cose. Sarà la cura Jaime Martinez, nuovo manager, o semplicemente gli anni che passano? Non possiamo saperlo. Così come non possiamo sapere come sarebbe stata la sua carriera se Marc avesse sempre parlato così, a muso duro e senza mezzi termini. Di certo, questa sua mentalità che lo vede portare tutto all’estremo si sta facendo sentire anche nelle interviste, cosa che dal divano di casa rende tutto più divertente.