È il giovedì del GP di Francia, l’appuntamento con Tony Arbolino è fissato all’hospitality del Team Marc VDS per le 16.40. Lui arriva sullo scooter con un cappello di lana calcato in testa e uno scaldacollo su fino al naso, si vedono appena gli occhi. Per qualche motivo si era convinto di dover rilasciare un’intervista per un sito indonesiano, così saluta in inglese. Gli spieghiamo cos’è MOW, ci sediamo, risate. Lui porta una bottiglia d’acqua sul tavolo con cui giocherà per tutta la chiacchierata e sfoggia un paio di Nike Airforce 1 metà nere e metà bianche: “Bro, ci sono due correnti di pensiero sulle Air Force, o bianche o nere. Io…così”. Ci sediamo, cominciamo a parlare. Tony come Kiedis, Bourdain, Soprano. Ma questo è Tony Arbolino.
Ok, Tony, tutto quello che non vuoi dirmi, puoi non dirmelo.
“Io ti dico tutto quello che so”.
Sembra giusto. Hai l’aria di uno che ha fatto un sacco di strada per arrivare nel motomondiale. È stata tosta?
“Devo dire che non è stato facile, tosta non lo so. Ma il percorso è stato complicato, perché vengo da un paese che non tutti conoscono che è una periferia della Lombardia (Garbagnate Milanese, ndr) in cui non è troppo facile approcciarsi alla moto. Magari è facile per il calcio, ci sono duemila campi, ma le moto sono un altro discorso. Io uscivo da scuola e il venerdì andavo in Emilia Romagna ad allenarmi per tutto il weekend, poi tornavo a casa facendo tre ore e mezza di macchina. Magari gli altri bambini uscivano da scuola e andavano al circuito sotto casa”.
Certo, tutti i giorni al Jeepers di Cattolica o a San Mauro a Mare.
“Proprio quelli. Io invece non potevo, dovevo andare a scuola ed era davvero complicato gestire questa cosa”.
Anche perché immagino che queste trasferte avessero un costo non indifferente per la famiglia.
“Mio padre era meccanico di automobili e quindi smontava le gomme, faceva qualche extra, ore in più, cose in più, qualsiasi cosa per mettere insieme i soldi che servivano”.
Bastonare i romagnoli che su quei circuiti ci lasciavano i solchi ti ripagava di tutto, vero? A vederla così dev’essere questo ad averti acceso l’idea di fare il pilota.
“Esatto, questa è stata proprio la mia mentalità dai sei anni ai tredici. Io andavo lì, giravo due giorni, tornavo e non mi preparavo come loro, un bambino capisce in fretta ma deve anche continuare a fare le cose per sviluppare un talento. Quindi andare lì a vincere per gente che davanti alla pista ci abitava valeva più di tutto il resto”.
Come un pugliese che vince le gare di sci. E poi a tredici anni cosa è successo?
“Siamo arrivati allo stesso livello: tutti dovevano girare al Mugello, in piste più grandi insomma, e non era così semplice nemmeno per loro farlo tutti i giorni. E lì mi sono sentito ancora più forte, perché la differenza con gli altri era ancora più grande. Mio padre ha fatto tanti sacrifici per tutto questo e cerco sempre di ringraziarlo con affetto, come posso”.
Rispetto agli altri piloti con cui corri oggi, che magari sono sempre stati benestanti o hanno avuto dei contatti diversi nel paddock, tu cosa pensi di avere in più?
“Ho fame. Ho sempre avuto la fame. Non solo adesso, anche se la sento ancora tanto, ma soprattutto agli inizi, quando cambiavo categoria. Ho sempre voluto fare meglio e non ho mai sopportato l’idea di arrivare secondo. In effetti anche altri possono avere fame, ma questa cosa di non poter arrivare secondo mi ha sempre fatto migliorare e crescere. Come umano, come persona e anche tecnicamente. Ed è questo che fa la differenza secondo me, poi ad ogni anno che passa sono più affamato”.
Quindi quando Pedro Acosta ti ha fregato all’ultimo giro ad Austin... difficile da accettare?
“Quando succede ci penso tanto, specialmente le notti dopo. Pensavo ad ogni singolo movimento che avrei potuto fare per evitare quel sorpasso, ma era una cosa che mi entrava in testa senza che potessi farci nulla, capito? Mi entrava in testa, un tunnel vision incredibile”.
Pedro Acosta ha una grande consistenza, va abbastanza forte un po’ ovunque. Però siete a pari punti e tu magari, che sei un po’ meno consistente, qualcosa in più di lui ce l’hai. Dove pensi di poterlo fregare?
“Lui ha tanta consistenza ma in piste più o meno simili, se c’è una pista in cui va forte ci andrà sempre, non avrà mai problemi. Io mi sento molto forte fuori Europa, in alcune piste qui e nelle ultime gare, quando si torna fuori Europa. E poi mi sento forte in tutte le condizioni, lì penso di poterlo fregare”.
Tu dai l’idea di essere un po’ più creativo di lui. Anzi, addirittura guardandoti guidare in pista e sentendoti parlare durante le interviste sembra di vedere un uomo nudo in mezzo alla gente vestita: tutti guardano! Ti senti un po’ diverso rispetto agli altri piloti? Quando parlano loro sembra che abbiano giocato a golf, tu pari uscito da un incontro di boxe.
“Bro, questa è una roba che mi dicono in tanti. Io però non riesco a sentirla parecchio, evidentemente sono cresciuto così e anche con persone così, molto alla mano, arrivo da posti umili di periferia e ho visto tanta gente così. Quindi per me essere così è veramente normale, io ho anche una filosofia un po’ diversa della vita e dello sport rispetto ad altri. Per me lo sport è una passione, farei di tutto per continuare a raggiungere i miei risultati. Correre in moto non è mai stato un giorno difficile per me. È stata un po’ dura agli inizi appunto, quando dovevo prendere il camper e fare trecento chilometri con mio padre. Ma ora se potessi stare fuori tutto l’anno a fare le gare godrei. Sento piloti che si lamentano di ventuno, ventidue GP. Io cazzo farei trentaseimila gare all’anno”.
Ho come l’idea che qualcuno proverà ad accontentarti l’anno prossimo. Senti, datti un voto per talento, testa e cuore.
“Talento dieci, testa dieci, cuore dieci”.
Ovviamente. E la verità è che non fai il pilota se non pensi di essere più bravo di tutti gli altri, però nessuno lo dice.
“Eh, ma bisogna dirlo. Io lo dico perché lo penso e non ce la farei a mentire”.
Essere Tony Arbolino aiuta con le ragazze?
“Ehhh… Mmmh siii, non tanto… non so cosa rispondere. Magari più che essere Tony Arbolino mi aiuta il fatto di fare il pilota”.
Per quello tocca arrivare in MotoGP.
“Esatto, magari lì andrà un po’ meglio”.
Fabio (Quartararo) cosa ti dice di questo aspetto della MotoGP?
“Ah, Fabio a me piace anche perché non la vive come la MotoGP, la vive come un campionato italiano. Voglio dire, l’impegno che ci mette è totale, enorme, ma in generale come la vive è come dovrebbe essere e come faccio anche io: dare tutto, ma stare bene. Non so come spiegarlo, ma con lui mi trovo bene anche perché quando usciamo dal paddock facciamo le stesse cose ed è abbastanza bello questo”.
Se potessi rubare una qualità a Valentino Rossi e una a Marc Marquez dove andresti a pescare?
“A Valentino Rossi ruberei la furbizia. A Marc Marquez tante cose, ma diciamo los huevos, the balls”.
Hai presente quando i rapper dicono uno per i soldi, due per lo show e mettono in fila i motivi per cui fanno quel mestiere lì? Ecco, quali sono le tre cose che ti spingono a fare il pilota?
“Competizione, poi passione e per terza… prima dei soldi ci sono una marea di cose, man. Molte, tante. Poi i soldi… no, dai. Dico passione, competizione e gloria. Gloria, bro, gloria”.
Tra l’altro ti ci vedrei bene a fare il rapper, se non avessi fatto il pilota immagino che oggi faresti il cantante.
“Sì, ce l’ho. La gente non lo sa, nessuno lo sa. Neanche amici… però c’era tutto per farlo. Cento per cento”.
Se ti metto un milione di euro sul tavolo riesci a spenderli in una sera?
“Cento per cento”.
Come?
“Allora. Prima cosa una Rolls-Royce per andare in giro, lì siamo già a quattrocento mila. Anzi, jet privato a Miami e da lì mi faccio portare una Rolls-Royce. A quel punto hit the club: pam! entro nel locale e spendo quello che rimane”.
Senti, ti piace la Ducati del team Gresini? Pensi che abbia dei bei colori?
“Belli, molto belli! Non c’entrano molto con questi (quelli del Team Elf Marc VDS, ndr) ma sono molto belli. Però io li amo tutti i colori lì dentro”.
Carlo Pernat che ne dice?
“Ah, lo vedo molto sicuro di sé. Ho sempre un bellissimo rapporto con lui e sono sempre nelle sue mani. So che lui fa quello che deve fare e basta”.
Ultima cosa: a settembre, a Barcellona…
“Sì, bro?”
Se ti va bene la gara andiamo a fare serata insieme, ma paghi tu.
“Bellissimo, easy, già fatto. Matarò, Espai Titus, Classic, Milonga… Hit the club, pam!”