Mou è di nuovo in finale. A un passo (o meglio, a un gol) da un altro potenziale titulo. Ne ha vinti 26 in una carriera straordinaria, discussa, controversa, che ha conosciuto anche la discesa, negli ultimi anni. Una carriera da pochi, una carriera da Special One. Nella stagione europea del rilancio del calcio italiano, almeno a livello numerico, con le milanesi in semifinale (e l'Inter in finale) di Champions League, con la Fiorentina in finale di Conference League, con la Juventus tra le prime quattro e per qualche minuto virtualmente nel derby per la coppa di Europa League, non va dimenticato che lo scorso anno solo la Roma è arrivata in fondo. Il successo finale in Conference League a Tirana con il Feyenoord è stata la base, più emotiva, che tecnica, su cui costruire il percorso stagionale della Roma. Sempre sofferto, sempre sul filo della tensione, spesso anche oltre. La corda ha rischiato più volte di spezzarsi. Tutto, in realtà, rientra nella strategia del tecnico portoghese. Josè Mourinho ha sempre saputo che la sua Roma è una squadra fisica e un po’ logora, forse meglio scrivere incerottata sebbene costosa (la Roma ha il quarto monte-ingaggi della Serie A, a un passo dal Milan), perché se le fondamenta e i destini sono affidati a Dybala, Wijnaldum, il rischio che vada tutto a monte va messo in conto. Ha messo dentro tanti giovani, i suoi "bambini": il gol decisivo della semifinale, l'unico (all'andata), l'ha segnato Bove, una sua creatura, di cui ha esaltato cuore ed educazione. È fatto così, Mou. Dopo mesi in sofferenza, tra cadute e risalite, la strada è stata tracciata.
I giallorossi hanno eliminato il Bayer Leverkusen e in finale affronteranno il Siviglia. E in campionato si stanno giocando un posto in Champions League. Lo Special One ha saputo costruire una tela senza toppe tra sé, la squadra e il pubblico, che lo segue e lo applaude anche quando perde in casa all’Olimpico con l’Inter senza quasi mai tirare in porta. La connessione sentimentale non è mai sparita, anche quando ha alluso a un futuro che potrebbe essere lontano da Roma, quando ha più volte spiegato che non ha alternative, che la rosa giallorossa non regge la doppia competizione, lo stesso concetto espresso da Maurizio Sarri per la sua Lazio. Quando lo fa Mou, nessuno storce il naso. Anzi, gli si dà ragione. Anche il suo inno al romanismo rientra nel piano. E la costruzione del consenso tra calciatori, tifosi, opinione pubblica, è passata anche attraverso dei pericolosi passi falsi comunicativi, su tutte la vicenda Karsdorp, additato di poco impegno e messo pubblicamente alla gogna (Mou poi ha saputo ammettere le sue responsabilità). È passata attraverso la strategia sugli arbitri, sulla società che non è in grado di farsi sentire per evitare le designazioni arbitrali sgradite. Almeno una decina di volte nel corso delle varie competizioni si sono scatenati parapiglia in campo con protagonisti i calciatori della Roma. Alta tensione, sollecitazione continua, vicinanza al capo (lui). Lo stesso capo che manda in campo i giovani della Primavera, li coccola, sorride, che poi ha sotto la curva Sud invocando gli applausi per i suoi ragazzi, anche se sconfitti. La Roma ha collezionato una serie lunga di sold-out all’Olimpico. Lo stadio è sempre pieno o quasi. Più di quello del Napoli, che ha stravinto lo Scudetto.
È la linea che Mou reputa necessaria per arrivare al risultato. Pragmatismo allo stato puro, una visione, una strada. Ha selezionato le armi, è andato in guerra con le munizioni migliori. Manca poco per sapere se ha vinto la guerra o solo tante battaglie. Poi, forse andrà via, non ci sono per ora segnali di rinnovo (scadenza contratto a giugno 2024), forse al Psg che deve ricostruire un’anima, oppure in Premier League. Con una certezza: il mondo Roma non lo dimenticherà mai.