Uno degli esercizi più sfigati di questi giorni è stare là a quantificare se siano troppi i decibel, a prendere le misure, a dare giudizi di opportunità sulle celebrazioni dei napoletani: ma vivaddio erano 33 anni che aspettavano, oggettivamente nessuno vive il calcio più di loro, si sono avvicinati 6 volte al titolo senza vincerlo, sono andati all’inferno della C e ci sono pure rimasti, ma lasciateli festeggiare come diavolo vogliono e quanto vogliono. Dimenticate anche un aspetto: Napoli è la città più grande d’Europa ad aver solo una squadra di calcio, quindi la configurazione tra comunità e squadra è massima, davvero ineguagliata al mondo da quel punto di vista. C’è da dire che hanno aspettato tanto, ma il tempo dei festeggiamenti ha preso la rincorsa in misura proporzionale all’attesa: in un certo senso hanno cominciato a fare festa dalla trasferta con il Sassuolo di un mese e mezzo fa, hanno avuto il tempo per imbandire la città come mai successo prima con tanta meticolosità in anticipo, ed erano in piazza per il momento dell’esplosione già da 5 giorni, considerato il coito interrotto di Napoli-Salernitana. E mo ci sarà un altro mese di festa scudetto, una magnifica follia: le cinque giornate di campionato come rituale di celebrazione, a partire da Napoli-Fiorentina con la festa pre e post partita allo stadio dove gli eroi si consegneranno per la prima volta alla città, per arrivare a Napoli-Sampdoria all’ultima il 4 giugno con la cerimonia ufficiale, la consegna della coppa, e soprattutto il pullman scoperto che andrà in giro per lo strade, un orgasmo cittadino di cui il Napoli di Maradona non poté godere. Dicono poi che andrà avanti tutta l’estate, forse anche oltre. Il gusto dell’appagamento, certo lo farà. Ma le feste no. Credetemi, anche i napoletani si stuferanno di festeggiare.
Sentite questa. L’ultimo Scudetto per celebrazioni paragonabile è quello della Roma 2001. Ci si ricorda della festa al Circo Massimo, ma quella fu soltanto una settimana dopo. Ovvero, dopo 7 giorni di festeggiamenti interminabili. La follia aveva davvero preso la città, ogni santo giorno. Dopo domenica 17 giugno, giorno della vittoria, ogni tardo pomeriggio accadeva un fenomeno incredibile: verso le 18.00, all’uscita dagli uffici, quando si formava il traffico in coda, qualcuno faceva partire il clacson (cosa di per sé non inusuale a Roma), ma la prima clacsonata era immediato pretesto per accendere il carosello in coda al semaforo, che si propagava immediatamente da una via all’altra. Caroselli spontanei, ogni sera al rientro a casa, per due settimane. Delirio di massa. E ovviamente anche l’intera città era stata imbandierata e listata, come ha fatto Napoli, con ogni condominio che organizzava le proprie personali collette e poi stendeva drappi da palazzo a palazzo. E ancora, ogni quartiere organizzò la propria festa scudetto personale: fuori dal giorno della vittoria e quello del Circo Massimo, si creò un calendario di festeggiamenti con ogni municipio che indiceva il proprio giorno di celebrazioni con festa in piazza organizzata ed eventi speciali. E in coda a tutto questo, o forse dovremmo dire in cima, un fenomeno tutto romano, ancorché prima che romanista.
Era il 2001, quindi la città era piena di transenne a ogni isolato per lavori fatti o da completare per il Giubileo. I romanisti fecero una cosa molto semplice: ogni santo giorno, un gruppo di tifosi graffitari prelevava dal posto le transenne necessarie, e le spostava in mezzo alla strada, a isolare un lembo di via, un quadrato dove dipingere per terra stemmi della Roma, lupe, opere da madonnari del calcio. Arte di strada spettacolare, che richiedeva tempo per la realizzazione e rifinitura. E le modalità erano surreali. I tifosi prelevavano le transenne dai luoghi di lavori in corso, isolavano un quadrato in mezzo alla strada, ci lavoravano di notte, mentre di giorno lasciavano ad asciugare con il rettangolo transennato. E il traffico? Mansueto, semplicemente girava attorno alla deviazione, perché vorrai mica protestare per i lavori Scudetto. A fine lavori, i tifosi depositavano le transenne al lato della strada. Grazie, ho finito. Te le poi riprenne.
Eravamo due settimane dopo dalla vittoria dello Scudetto della Roma, 30 giugno, 3.00 di notte, fate tipo corso Colombo, o giù di lì. Per me in quei giorni girare di notte per le strade romane era un gusto inaspettato e irripetibile, ogni via con il suo capannello di tifosi artisti, e tifosi di supporto attorno. Ero là fermo anche io, attorno alle transenne, ad osservare sto lavoro rinascimentale calcistico, in mezzo a un’altra decina di tifosi più o meno silenziosi, che sentivano la notte. Batman della festa, tutta nostra la città. Ed è in quel momento che ho assistito a una delle scene più definitive che io ricordi. Un ultras dipingeva, quello che lo aveva fatto prima si riposava dopo aver ricevuto il cambio. Appoggiato a una transenna, nel silenzio della notte, una birra appesa alla mano, osservando gli altri con sguardo provato. Laconiche, senza risposta, scivolarono le sue parole: “Ahò, io me so rotto er cazzo de festeggià”.
Nella totalità della notte, si raggiunse il punto di rottura tra l’equilibrio malinconico de La Grande Bellezza e la decadenza finale de La Grande Abbuffata.