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Mattia Binotto costretto a dimostrare che i suoi piloti non sono russi è l’ennesima follia di una guerra combattuta sui social

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

29 aprile 2022

Mattia Binotto costretto a dimostrare che i suoi piloti non sono russi è l’ennesima follia di una guerra combattuta sui social
Robert Shwartzman, talento della Ferrari Driving Academy, rischia di dover rinunciare a correre in Formula 1 a causa della nazionalità russa. Probabilmente non sarà così, Mattia Binotto ha già spiegato che il pilota ha licenza israeliana, ma in casi come questo viene da chiedersi che senso abbia questa limitazione da parte della FIA

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

Robert Shwartzman si aggiunge alla lunga lista di atleti che, a causa della guerra scatenata da Vladimir Putin, rischiano di rinunciare alla propria carriera. In orbita Formula 1 si è parlato a lungo di Nikita Mazepin, che però correva sponsorizzato dal padre (e quindi da Ural Kali), così come di Daniil Kvyat, il quale ha rifiutato di correre nel WEC con colori neutrali per essere fedele alla madre patria. In questo caso però, il discorso è piuttosto diverso.

Shwartzman è uno dei piloti più veloci della Ferrari Driving Academy e, al netto delle nuove normative FIA, avrebbe dovuto prendere parte ad alcune sessioni di prove ufficiali con la F1-75 durante la stagione 2022. Cosa che probabilmente succederà in quando Mattia Binotto, Team Principal della Ferrari, ha spiegato chiaramente che Shwartzman ha un passaporto israeliano: “In termini di licenza non è un russo - ha chiarito Binotto a MotorsportWeek - aveva degli accordi con delle aziende russe, ma fatemi dire che ha rotto qualsiasi accordo con quelle aziende. Robert è ancora il nostro collaudatore e rimarrà tale. Se avremo in futuro qualche opportunità di farlo guidare, probabilmente lo faremo guidare”.

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Il discorso è chiarissimo: Shwartzman è in regola, non ha accordi coi russi e il passaporto gli permette di correre. Binotto, da parte sua, ha un pilota di talento e ha deciso di trattarlo come tale. Sta di fatto che tagliare i ponti (sportivi e non) con qualunque cosa abbia a che fare con la Russia è una scelta controversa, a tratti ottusa: Putin non rende conto ai suoi oligarchi, figuriamoci ai suoi sportivi. E proibire a Robert Shwartzman di correre per via delle sue origini non ferma la guerra, esattamente come non l’ha fermata l’idea di cancellare il corso su Dostoevskij di Paolo Nori.

Obbligare qualcuno, pilota o meno, a dimostrare la propria provenienza per prendere parte a un evento - a prescindere dalle proprie idee o posizioni politiche -  è una violenza che non combatte la guerra e che, invece, si avvicina pericolosamente alla dualità su cui si basano i social: buono o cattivo, giusto o sbagliato, russo o non russo. Se sei cresciuto a San Pietroburgo ed hai il passaporto israeliano puoi correre, al contrario no. Shwartzman non si è dichiarato filorusso come ha fatto Kviat e non è direttamente coinvolto nelle operazioni del Cremlino come papà Mazepin, è un pilota di macchine. E ha rischiato di non correre per una nota (evidentemente facile da aggirare) diramata dalla Federazione Internazionale dell’Automobile.

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