Si dice che la speranza sia l’ultima a morire, ma bisogna anche dire che moltissimi aspettano un segnale fermo e altrettanto marcato proveniente dalle fila di Maranello. Uno di quei segnali che canti in coro: “Questo è l’anno giusto, l’anno della vittoria” e non un banale, e ormai infruttuoso, “penseremo a vincere l’anno prossimo” aggiunto a qualche altra frase fatta e sterile, proveniente da chi di corse non ne capisce proprio niente, come “non abbiamo vinto la gara ma abbiamo fatto il giro veloce”. Già, come se in Formula 1 fare “fucsiaah” contasse veramente qualcosa.
Frasi simili, impostate senza cognizione di causa, senso logico e poco distinte, fanno capire come la Scuderia Ferrari che stiamo amaramente ammirando negli ultimi anni è vittima e preda di una gestione barbina senza passione e con l’unico scopo di lucrare sul marchio più famoso al mondo.
Da quel lontano 2008, anno dell’ultimo titolo (costruttori) portato a casa nella Sala dei Trofei di Maranello, quanti errori sono stati fatti nei piani alti della casa emiliana? Dobbiamo ricordare le difficoltà strategiche del periodo di Alonso, in cui l’intera gara dove si rischiava davvero di vincere il titolo ad Abu Dhabi 2010 fu impostata su Mark Webber senza tener conto della mina vagante tedesca che portava il nome di Vettel; o quell’orripilante progetto che portava il nome di F14T, una vettura che, oltre ad essere brutta, era notevolmente inguidabile. La rabbia di quel 2014 non è da attribuire soltanto a quella monoposto nata sotto una cattiva stella, anzi quello se vogliamo è il male minore, ma ciò che fa davvero rabbia fu il segno decisivo di una Ferrari che, a capo chino, cedette lo scettro ad una Mercedes sempre più imponente a livello politico nel mondo FIA grazie alla scelta della tecnologia turbo ibrida maturata a Stoccarda già dal 2009.
Senza considerare anche gli errori recenti (vedi SF1000) ed il ruolo di Binotto, ottimo motorista per carità, ma che non ha proprio lo charme e l’attinenza di vestire il ruolo di Team Principal, tutto fa pensare ad una Ferrari in frantumi, allo sfascio. Molto lontana dalla gloriosa rossa dei tempi di Lauda, Suertes, Fangio e Ascari. Insomma, un’altra storia, e non ho voluto menzionare la Golden Age del Kaiser Michael Schumacher.
Quindi, bisogna pensare che il problema non siano tanto i piloti - Sainz e Leclerc hanno dimostrato quanto siano in gamba e competitivi - quanto le persone poco professionali che dirigono la baracca dall’alto. A tal proposito, si è espresso Mauro Forghieri, storico ingegnere italiano, volto simbolo di una Ferrari molto diversa da quella di oggi.
Ingegnere, lei cosa incolpa alla Ferrari di adesso?
“Penso che “incolpare” non sia la parola corretta. La Ferrari non fa certe cose volutamente, è una conseguenza delle situazioni in cui si trova. Non ha più gli uomini di basso livello che aveva una volta. Quando dico di “basso livello” molto bravi, meccanici ecc... E soprattutto per me, in questo momento, non ha chi li sappia comandare nel modo giusto. Quando una persona comanda, deve farlo in base a ciò che vuole”.
Secondo lei cosa vuol dire ‘Essere Ferrari’?
“È una grossa responsabilità. Perché il verbo “essere” vuol dire molto di più di quanto una persona non possa capire così. Essere Ferrari vuol dire non solo comportarsi come Ferrari, ma anche interpretare le cose come le interpreterebbe lui ed anche come le interpreterebbero i suoi uomini. Questa è una responsabilità molto pesante”.
È proprio sul significato di Essere Ferrari che voglio porre ora la vostra attenzione. Adesso viviamo in un periodo totalmente diverso dall’epoca vissuta da Forghieri e dai suoi uomini capaci di tutto per rendere glorioso quel cavallino rampante; da allora la Ferrari ha continuato a crescere ed evolversi, toccando tetti e risultati altissimi, ma è giunta anche nei meandri più bassi e oscuri dov’era impensabile potesse arrivare.