Otto anni, tre titoli mondiali -con il quarto sempre più vicino- ma sempre con la fame che dal giorno zero lo ha contraddistinto. Max Verstappen in Brasile non ha solo vinto, ha mandato un messaggio chiaro alla concorrenza: nonostante tutto il brusio che lo circonda, quando abbassa la visiera non conta più nulla, se non la pista e la sua fame. Quella stessa fame che, otto anni fa, alla sua seconda stagione in Formula 1, sempre ad Interlagos, gli aveva permesso di realizzare, o forse di iniziare un’impresa degna dei più grandi fenomeni: sotto la pioggia scatta quarto, recupera due posizioni con tanto di sorpasso mozzafiato ai danni di Rosberg, all’esterno della “Curva do Sol”, facendo sembrare tutto facile; poi, tra il caos delle safety car e delle bandiere rosse, una chiamata strategica sbagliata fa sì che quanto di straordinario fatto svanisse nel nulla. Max però non sa che, di lì a poco, sarà in grado di realizzare qualcosa di ancor più grande.
Rientra in pista sedicesimo a sedici giri dalla fine: una furia capace di andare oltre la pioggia battente, oltre le condizioni al limite. Gli altri sembrano fermi, sorpassati uno dopo l’altro tra staccate furibonde e incroci di traiettoria inverosimili. Otto anni dopo il copione è simile: una chiamata strategica sbagliata, questa volta in qualifica e una penalità da scontare in griglia. Max al via è lontano, in diciassettesima piazza. I favori del pronostico non sembrano sorridergli, ma lui non lo sa e come anni addietro, una volta spenti i semafori, inizia la sua impresa. Un’impresa che parte dunque da lontano, interrotta da una bandiera rossa che questa volta sembra sorridergli.
Alla ripartenza non ce n’è per nessuno: come un tornado, giro dopo giro regala spettacolo a tutti coloro che il suo capolavoro lo stanno guardando, ammirando: negli ultimi venticinque giri, dopo aver conquistato la vetta ai danni di Ocon, mette a segno 14 giri veloci, uno dopo l’altro. Dal muretto gli comunicano di poter “rallentare”, ma ad Interlagos, sotto la pioggia battente, nel vocabolario di Max questo è un verbo che non esiste. Al traguardo chiude la gara con 19,4 secondi di vantaggio su Esteban Ocon, per una media di 0,780 secondi guadagnati al giro, 23’’2 su Russell e 30’’ sulla coppia Leclerc e Norris, annichilendo di fatto il rivale per la corsa al titolo e lanciandogli un messaggio chiarissimo: non importa quanto competitiva possa essere la sua macchina, quando il gioco si fa duro Max è sempre lì pronto ad iniziare a giocare.
Una prestazione di forza dopo un digiuno durato troppo tempo per uno come lui, tra la mancata competitività della Red Bull, al contrario della rivale McLaren e gli exploit di Ferrari, risultati che in alcuni tratti di questo mondiale hanno permesso ai rivali di avvicinarsi, di sperare in una rincorsa irrealizzabile, soprattutto dopo quanto successo in Brasile. Poi la gioia ritrovata, il salto tra i suoi meccanici e l’esultanza di chi è consapevole di aver lanciato un segnale forte, proprio come otto anni fa quando, con molta meno esperienza ma pur sempre con la solita grinta, aveva salutato Interlagos con l’ennesima pagina di storia scritta.