È il 18 luglio 1965 e a Zandvoort, in Olanda, tira aria di tensione. La Formula 1 è uno sport per folli, per chi di morire, su piccole monoposto senza l'ombra di alcuna sicurezza, non ha paura. Ne muoiono tanti di piloti in quegli anni, volti dimenticati con il tempo, uomini disposti a un sacrifigio che oggi fatichiamo a comprendere.
Quell'aria pungente Jim Clark la respira a pieni polmoni: già campione del mondo nel 1963, lo scozzese si infila il casco pensando a un successo che deve conquistare in gara. Viene da quattro vittorie consecutive con la sua Lotus e strappare la quinta all'amico e rivale di sempre, Graham Hill, che scatta dalla pole position, non sembra impossibile.
Zandvoort gli piace, è una pista che richiede rischi che Jim sa prendersi, e il destino quell'anno sembra essere dalla sua parte. Vincerà, non solo in Olanda, con il quinto GP consecutivo, ma anche il titolo di Formula 1, il secondo e ultimo della sua carriera, e la 500 miglia di Indianapolis, per cui rinunciò alla partecipazione al Gran Premio di Monaco di quell'anno.
Sembra essere imbattibile, invincibile, baciato da una trasgressione che sa dosare e che lo rende ipnotico agli occhi di chi lo guarda. È un simbolo, Jim Clark, è il simbolo di un periodo storico che non potrebbe essere più lontano da noi.
Al traguardo, sommerso da una folla di giornalisti e fotografi, il pilota strappa un bacio alla diva. Lui è sporco, l'adrenalina che dà ritmo ai movimenti, lei non potrebbe essere più diversa. Perfetta, in bianco, i capelli come si vedono solo nei film. A Zandvoort ha accompagnato un amico giornalista, per vedere da vicino questi uomini folli, disposti a tutto pur di ricevere una corona d'alloro e un podio su cui mettere i piedi.
Lui, Jim Clark, le strappa un bacio, il bacio del vincitore, e lei, Monica Vitti, ride felice. Il 1965 è un anno di gloria anche per l'attrice, 35enne dal successo internazionale, già musa di Tinto Brass e Michelangelo Antonioni.
Per un momento, solo per il tempo di quella fotografia, si assomigliano, Monica Vitti e Jim Clark. Le due facce di un mondo che non conosce distanziamento sociale, sicurezza nel motorsport, bodyguard per le dive o paddock chiusi per i piloti. Un mondo che ha costruito una narrazione che oggi ci sembra impossibile da imitare, senza farla risultare costruita e farlocca.
Si assomigliano il tempo necessario per scrivere una pagina di storia per poi prendere strade che non li faranno incrociare più. Jim Clark, campione del mondo di quella stagione, morirà in pista solo tre anni dopo all'Hockenheimring, perdendo in controllo della propria vettura in curva e schiantandosi rovinosamente contro gli alberi fuori dal circuito. Monica Vitti proseguirà il suo successo glorioso, diventando la diva italiana per eccellenza, costruendosi una carriera nel cinema conclusa nel 1990 con il film Scandalo segreto e con la realizzazione di un sogno: dirigere se stessa come regista. Poi la malattia degenerativa, l'addio al mondo delle spettacolo e la morte, arrivata quest'anno all'età di 90 anni.
Una vita, quella di Monica Vitti e Jim Clark, che una fotografia rubata quella dei festeggiamenti del Gran Premio d'Olanda del 1965 non può descrivere. Ma una fotografia che parla di un'epoca e di una trasgressione che non conosciamo più.