Bisogna fare bene i conti, per poter parlare al telefono con Maura Malpetti. Tra Milano e San Francisco, oltre all’Oceano, ci sono la bellezza di nove ore di fuso orario a dividere gli spazi e amplificare le complicazioni. Quando qui in Italia è tardo pomeriggio, lei dall’altra parte del mondo si è svegliata da poco.
A San Francisco Maura, ricercatrice e Dottoressa in Neuroscienze con un dottorato in Neuroscienze cliniche conseguito all'Università di Cambridge, sta svolgendo uno "scambio di ricerca", un progetto che la terrà occupata per quattro mesi.
In Inghilterra però tornerà presto perché ad aspettarla c'è un lavoro che unisce studio e passione. L’amore per la Formula 1, che custodisce fin da bambina, e quello per il cervello, in tutte le sue forme e complessità, trovano spazio per coesistere in Race Against Dementia l’associazione creata dall’ex pilota e tre volte campione del mondo di Formula 1 Jackie Stewart e dall'amata moglie Helen che, dal 2014, convive con una diagnosi di demenza frontotemporale. Una malattia che ha tolto tanto, alla famiglia di Jackie, dove un tempo Lady Stewart si definiva con orgoglio "il cronometro" da pista del suo campione, con una mente affilata come un rasoio, in grado di cronometrare i giri in pista al millisecondo con precisione incrollabile.
Oggi quelle capacità stanno lentamente trasformando Helen, condizionando la sua vita e quella di chi le sta intorno. Una malattia che ha però insegnato anche tantissimo agli Stewart, fino a pochi anni fa completamente ignari delle conseguenze di questo dolore: la demenza colpisce milioni di famiglie in tutto il mondo ma gli studi sono ancora troppo pochi e troppo lenti per chi, come Jackie Stewart, è abituato a una vita a 300 all'ora.
Per tutti questi motivi è nata Race Against Dementia, un'associazione che fonda le proprie basi sulla ricerca e il progresso in campo medico ma che non si dimentica mai, neanche per un secondo, della grande storia d'amore e velocità che ha permesso di costruire le fondamenta di quest'associazione.
Una storia che il fotografo Rainer Schlegelmilch, nel 1968, racchiuse nello scatto "The Kiss", un bacio sotto la pioggia al termine del Gran Premio di Zandvoort. La mano di uno sconosciuto protagonista a tenere sollevata la visiera del casco del pilota per permettere alla coppia di scambiarsi un bacio. Quella di Jackie, di mano, dolorante e rotta, come testimonianza di una Formula 1 diversa, che proprio Stewart contribuì a rendere più sicura.
Maura, partiamo dall'uomo che ha reso possibile Race Against Dementia: Jackie Stewart. Il pilota simbolo della lotta per la sicurezza in Formula 1 che oggi si impegna in una nuova battaglia. Le due cose sono in qualche modo legate?
Io credo di sì. Sir Jackie non è mai stato solo un pilota, uno famoso per aver guidato e vinto. Ha dato tutto se stesso nella battaglia per rendere la Formula 1 più sicura e questo suo modo di pensare, questa velocità di esecuzione che arriva da un mondo in cui tutto, per natura, è rapido e portato al cambiamento, è diventata una prerogativa anche nella battaglia contro la demenza.
Velocità e ricerca? Come si uniscono?
Quando Sir Jackie ha iniziato a informarsi, dopo la diagnosi della moglie, ha subito capito che nonostante gli studi sulla demenza proseguano da molti anni, gli sviluppi sono ancora lenti e non ci sono cure. Da lì ha cominciato a contattare universitari e studiosi e ha deciso di creare quest'associazione pensata per finanziare giovani ricercatori nella lotta contro la demenza. Quindi i principi su cui si basa Race Against Dementia sono la fiducia nei giovani, molto difficile da trovare in questo ambito quando si parla di finanziamenti, e la mentalità della Formula 1 portata nel campo della ricerca: l'attenzione al dettaglio, l'essere sempre pronti alla risoluzione dei problemi, anche quelli inattesi, e la capacità di cambiare punto di vista se necessario.
Quindi una volta entrata nel progetto come ricercatrice, come nel tuo caso, hai a disposizione un finanziamento per la ricerca?
Sì, di 5 anni. Che sono molti per i giovani ricercatori, di solito non si va oltre i 3 all'inizio. E poi non c'è solo questo: lui a nostra disposizione mette anche un programma di coaching e mentoring con persone che vengono dal panorama del motorsport e in particolare dalla Formula 1. Il finanziamento del mio progetto, ad esempio, inizierà il mese prossimo con il mio rientro da San Francisco, ma ho già iniziato il percorso di coaching, in particolare sto lavorando con una persona del team McLaren che mi sta seguendo sul piano della mentalità da adottare.
E il tuo progetto in che cosa consiste?
Quando usiamo il termine demenza pensiamo subito all'Alzheimer ma in realtà si fa riferimento a tutto un ombrello di condizioni che possono impattare memoria e capacità cognitive in modi diversi. Io studio un tipo di demenza che si chiama frontotemporale e alcune condizioni legate a questa, che inizialmente si può manifestare con cambiamenti della personalità dei soggetti che ne sono affetti, toccando la loro memoria o il linguaggio, fino poi ad attaccare anche l'aspetto motorio. Uno degli aspetti che si è visto in questi pazienti è l'infiammazione cronica: in pratica il sistema immunitario nel cervello ad un certo punto risponde a qualcosa, si cronicizza e porta ad un morte cellulare più veloce, che causa i sintomi della demenza. Io con la mia ricerca sto cercando di sviluppare dei nuovi test, a livello di analisi del sangue e immagini del cervello, che possano rivelare l'infiammazione dei pazienti e dirci qualcosa sulla loro malattia: in quanti anni degenereranno, quali aspetti e così via.
Un progetto ambizioso che per te, che sei anche una grande appassionata di Formula 1, deve essere ancora più incredibile. Com'è stato conoscere Jackie Stewart per la prima volta?
Super emozionante. Ci siamo visti per la prima volta al Goodwood Revival e già il contesto era bellissimo, con tutti vestiti come negli anni 50 e 60. Lui è uno molto simpatico, gli piace portarti in giro e farti vedere un sacco di cose, raccontarti storie... Gli altri inglesi del mio gruppo si erano raccomandati di non dire che ero una fan della Ferrari, perché Jackie è scozzese, ma poi ad un certo punto mi ha detto: "Se vuoi ti porto a vedere la collezione delle Ferrari che ci sono qua" e niente, lì non ce l'ho più fatta ed è uscita la fan italiana che è in me, sembravo una bambina. Ma lui si è messo a ridere e ha detto: "Ovviamente sei ferrarista, sei italiana".
Avete fatto altro con lui?
Certo, ci ha portato a vedere le sedi di alcuni team di Formula 1, in particolare la McLaren a Woking e Red Bull a Milton Keynes. Perché Sir Jackie voleva che vedessimo il loro modo di lavorare: ogni team ha un suo "sotto-team" ma tutti comunicano nel modo giusto, non si bloccano mai gli ingranaggi del lavoro... Ed è qualcosa che lui vorrebbe portare nella ricerca e vorrebbe vedere nel nostro modo di lavorare.
Hai avuto modo di conoscere anche Helen?
Sì, abbiamo fatto una cena a casa loro. Lei è una persona bellissima, piena di energia e ci ha raccontato degli anni d'oro della Formula 1, quando seguiva Sir Jackie ovunque. Loro come famiglia sono bravissimi e molto presenti in questa battaglia contro la demenza, e hanno a disposizione anche specialisti di fama internazionale che li aiutano in questo percorso. Ma la missione di Sir Jackie va oltre la sua esperienza familiare e personale, perché ciò che davvero vuol far capire al mondo è che quello della demenza è un problema che riguarda tutti.
In che senso?
La demenza è un'epidemia. Il Covid ci ha insegnato che se, nel campo medico, tutti si uniscono per trovare una soluzione, questa è possibile e anche in tempi brevi. Anche la demenza dovrebbe essere affrontata così perché le statistiche dicono che una persona su tre, in tarda età, ne soffrirà.
Ma c'è stato un momento in cui hai davvero capito che stavi entrando a far parte di qualcosa di così importante?
Di momenti emozionanti ce ne sono stati tanti ma uno in particolare mi resterà sempre impresso: ero ad un evento organizzato da Race Against Dementia per chi volesse conoscere meglio il progetto e fare donazioni. Ad un certo punto mi sono resa conto che le persone presenti erano interessate ai nostri studi ben oltre per le donazioni che avrebbero fatto. Lo erano in modo personale. Volevano capire, conoscere e comprendere la nostra battaglia, il nostro lavoro e le prospettive della ricerca. Ecco lì mi sono resa conto che Race Against Dementia non riguardava solo Sir Jackie Stewart e noi ricercatori ma molte altre persone.