Tentenna, Rebecca Busi. Ragiona sui sentimenti da spiegare, sulle parole da dire, su cos'abbia da raccontare una "normale" ragazza di 25 anni, come si descrive lei. Quando parla di auto però, Rebecca cambia registro. Frasi brevi, decise, come in un'arringa. Perché è dentro la velocità che si ritrova per quella che è: una pilota pronta per la sua prima Dakar, la più giovane italiana che abbia mai preso parte alla più celebre e storica tra le competizioni a quattro ruote. Dentro la stessa velocità che l'ha spinta ad insistere, nonostante la mancanza di contatti, di sponsor, di porte aperte. Nonostante, a questa edizione della Dakar, prendano parte solo una ventina di donne su oltre 700 partecipanti.
La chiamiamo a pochi giorni dalla partenza per Jeddah, in Arabia Saudita, dove inizierà il suo viaggio nel deserto. Ci racconta di una gara che è una maratona, con sette od otto ore al volante per due settimane e delle incognite, che sono più delle certezze. Ma anche della passione di un padre, della dedizione di un sogno, e di un casco speciale che ha l'aspetto della rivoluzione silenziosa, quella che parte dei fatti più che dalle parole.
Qual è il tuo primo ricordo legato alla velocità?
Quella sulla nascita della mia passione è una domanda a cui faccio fatica a rispondere. Mio zio è sempre stato un grande appassionato di rally, mio padre di moto. Uno faceva moto rally nel deserto e l’altro rally su strada, quindi io sono cresciuta in questo ambiente. Ci sono sempre stata in mezzo, da che ne ho memoria. Però forse il primissimo ricordo è legato a una macchinina che avevo da bambina: era di mia sorella e l'ho ereditata quando lei era diventata troppo grande per usarla. Mio zio la mise a posto e iniziai a guidarla io, ci passavo sopra tutti i pomeriggi. Doveva essere un segno.
E poi?
Poi la prima macchina a 18 anni, qualche anno sui kart, i rally storici con mio padre come navigatrice. Ho sempre voluto iniziare a correre seriamente ma non ho mai trovato l’opportunità giusta e convincere mio padre è stato abbastanza duro. C’è voluta la collaborazione di mamma.
Però tuo padre adesso è il tuo sponsor per la Dakar e partirà con te per Jeddah. Come la sta vivendo?
Ora bene, quello della Dakar era anche il suo sogno. Verrà con me, sarà sulla macchina dell’assistenza e ci seguirà sull’altra strada, quella normale. L’anno in cui si era deciso a iscriversi alla Dakar come pilota, dopo anni in cui l'ha solo sognata, sospesero la gara perché fu quando cambiarono paese, spostandola dall’Africa all’Argentina. Poi l’anno successivo si ruppe una gamba durante un allenamento quindi non la poté più fare. Quest’anno realizzeremo due sogni, non solo uno.
E tua madre è preoccupata?
No, devo dire che anche lei è molto contenta. Mi hanno sempre vista appassionata, con il sogno di correre, e per loro è bello vedere che ce la sto facendo.
Tu invece, hai paura?
È una gara incerta, lunga, lunghissima. Ci vuole tanta fortuna perché corri per due settimane e possono andare storte davvero tante cose. C'è incognita della macchina perché può succedere qualcosa in ogni momento e poi bisogna entrare nell’ottica di dover guidare sette od otto ore al giorno per due settimane intere, fisicamente e mentalmente non è facile. Però non so se ho davvero paura di qualcosa, non è un sentimento che provo in questo momento. Forse perché proprio non so che cosa aspettarmi.
Ma perché hai deciso di iniziare a correre proprio in una delle gare più complicate e famose del mondo?
La mia famiglia non fa parte di questo ambiente: noi non abbiamo contatti e non abbiamo conoscenze di nessun tipo nel motorsport. Da un anno a questa parte mi sono fatta fare decine e decine di preventivi per partecipare a varie gare, ho domandato a chiunque e come regalo di laurea ho chiesto solo una cosa: il budget per iniziare a correre. Ma fare un rally in Spagna, come quello dell’Andalusia, mi sarebbe costato circa 26 mila euro e ho pensato: "Non posso spendere questa cifra per un rally poco conosciuto". Allora ho deciso di investire tutto sulla Dakar, di buttare tutta me stessa su questa esperienza, così se funzionerà magari qualcuno crederà in me.
Hai già corso su sabbia?
Sì, ho fatto dieci giorni di allenamento in Marocco. I primi giorni di rocce, sabbia e misto, poi alcuni giorni solo sabbia e infine dei roadbook interi da 300/400 chilometri.
Che sensazione ti lascia il deserto?
All’inizio tantissima ansia. Non sapevo che cosa aspettarmi, non capivo niente. Il mio coach, che per i primi giorni è stato Graziano Pelanconi, mi diceva di dare gas e io lo facevo ma ero preoccupata, perché non sapevo davvero che cosa stavo facendo. Poi l’ultimo giorno sono riuscita da attraversare tutto l’Erg di Merzouga per il lungo ed è stata una bella soddisfazione, lì ho capito che qualcosa era cambiato.
La Dakar deve ancora iniziare ma tu hai già un record: come ci si sente ad essere la più giovane pilota italiana che abbia mai partecipato alla gara?
È strano, non ci credo. Però è bello, mi sento un po' la piccola di casa a fare un rally con le auto storiche, una contraddizione che mi piace. Anche se ovviamente so che la Dakar richiede tanta esperienza, esperienza che io non ho perché sono ancora all'inizio. Ma non mi voglio lasciar spaventare ora.
Come mai hai deciso di correre con un casco arcobaleno?
È ispirato a quello indossato da Lewis Hamilton in Arabia Saudita. Quando l’ho visto correre ho pensato fosse bellissimo riuscire a condividere un messaggio così forte ma tacitamente, senza fare scandali o dover per forza mettere in mezzo la politica. Così nel mio piccolo, visto che la Dakar è una gara molto seguita, ho deciso di farlo anche io. Corriamo in Arabia Saudita, dove hanno ridato la patente alle donne solo pochi anni fa, e a questa Dakar ci saranno solo una ventina di ragazze su più di 700 partecipanti. Quindi c’è ancora tanto da fare!
Quindi il tuo è un messaggio per le donne...
Io non mi sento importante o famosa ma so che qualcuno mi guarderà e magari tra loro ci sarà anche una ragazzina che vuole iniziare a correre e che pensa di non potercela fare. Se io dovessi riuscire a dare speranza anche solo a una ragazza sarei felice, perché fino all’anno scorso non pensavo di potermi ritrovare oggi in questa posizione quindi bisogna sempre crederci fino in fondo.
Hai già progetti per quando tornerai dal deserto?
Ci stiamo muovendo per trovare sponsor e persone pronte a darmi fiducia per fare altre gare, accumulare esperienza e poi partecipare alla Dakar 2023. Qui si tratta proprio di trovare qualcuno che abbia voglia di dare un'opportunità a una ragazza che deve crescere e migliorare. Io non posso assicurare: "Datemi i soldi così l’anno prossimo vado e vinco". No, purtroppo non funziona così. Ho bisogno di allenamento, fiducia e persone che mi aiutino in questo percorso.
Ma senza le auto, chi è Rebecca?
Ah, che domanda difficile. Rebecca è una ragazza laureata in Economia, che fa un master a Barcellona per aiutare l'azienda di famiglia, una ragazza che si allena e si tiene in forma... Oddio non lo so chi sono fuori dal mondo delle auto (ride, ndr). Perché fino a poco tempo fa avrei risposto: "Una che studia, appassionata di auto e che vorrebbe iniziare a correre", quindi un buon cinquanta percento della mia descrizione riguarda le auto.
Allora adesso sei "una che studia e che sta realizzando il suo sogno"
Ecco sì, diciamo di sì. Che poi è la cosa più bella di tutte in questa storia incredibile.