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Perché guardare la docu-serie su Carlos Sainz vi farà amare la Dakar e tutte le sconfitte che separano due vittorie

  • di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

6 gennaio 2022

Perché guardare la docu-serie su Carlos Sainz vi farà amare la Dakar e tutte le sconfitte che separano due vittorie
Ogni competizione come se fosse la prima, ogni sfida iniziata per vincerla, ogni avventura fatta come se avesse ancora bisogno di dimostrare qualcosa. Così Carlos Sainz vive l'alba dei suoi 60 anni, raccontati in una docu-serie da guardare in questi giorni mentre lui, in Arabia Saudita, sfida il deserto per l'ennesima volta

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

Da bambino Carlos Sainz giocava a squash. Ha sempre preferito il motorsport, le auto, i rally e la velocità, ma lo squash lo divertiva. A sedici o diciassette anni lui e Reyes, oggi sua moglie, già si conoscevano e lei se ne stava lì seduta, sugli spalti di una palestra, a guardarlo tirare palle contro il muro per ore e ore. 

Gli sfidanti arrivavano, più grandi ed esperti di lui, ma Carlos batteva tutti. Si chiama dedizione, e Sainz ne ha sempre avuta più di tutti gli altri. Più dei suoi avversari, che si trattasse dello squash, del rally, della corsa o del ciclismo. Più di suo padre, che lo voleva avvocato ma che non riuscì a convincerlo a non lasciare l'università. Più della sfortuna che lo ha accompagnato per i primi anni del mondiale rally, dove ogni cosa sembrava sistematicamente andar male proprio quando aveva iniziato ad andare bene. 

Più di chi oggi, all'alba dei suoi 60 anni, lo invita a smettere di competere, prendersi una pausa, rallentare un po'. Risponde facendo quello che sempre saputo fare, Carlos, prendendosi i rischi di un ventenne con tutto da dimostrare per il semplice gusto di farlo. 

A raccontare la forza d'animo di un uomo che in questi giorni sta sfidando il deserto per l'ennesima volta, alla Dakar 2022 in Arabia Saudita, è una docu-serie realizzata da Amazon Prime Video in 5 puntate, disponibile in Italia dal 2 dicembre. Una storia di insuccessi, prima che di successi, e dell'incredibile capacità di Sainz di saper "sempre voltare pagina", forse la dote più grande che lo ha sempre accompagnato. 

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El matador, che lo chiamano tutti e come urla il pubblico che lo attende all'aeroporto di Madrid per festeggiare la vittoria della sua terza Dakar nel 2020, è un uomo che ha saputo vivere la vita che ha separato le sue vittorie, senza considerare ciò che stava nel mezzo una continua sconfitta. Solo così la passione rimane, la voglia di mettersi in gioco resta viva e ardente, il sogno prosegue nonostante l'età che avanza. 

"Sainz, vivere per competere" mostra i dolori lancinanti alla schiena dopo ore e ore alla guida tra le dune, svela ciò che Carlos si è perso, in un periodo della sua vita in cui era normale mancare da casa anche 200 giorni all'anno, nel periodo più importante per la crescita dei suoi tre figli, e mette in luce il brutto, prima svelare il bello. 

Perché i successi sono di tutti, ma il sacrificio è di pochi. Così come il dolore. In un passaggio del documentario lo si vede cantare la macarena, allegro e divertito, intorno a un falò in mezzo al deserto e pochi istanti dopo, intorno allo stesso falò, parlare della morte dell'amico e collega Colin McRae, il primo ad avergli detto di provare a correre la Dakar, scomparso nel 2007 insieme al figlio di cinque anni in un tragico incidente in elicottero. 

Dolore e gioia, adrenalina e fatica, fallimenti e successi. Tutto insieme, a curare il brutto con il bello, a dare senso a ciò che c'è stato. 

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Carlos Sainz Junior, Carlito, come lo chiama papà, di questa tenacia paterna ha fatto tesoro, imparando presto il valore del lavoro. Impressionante il commento del padre al primo podio in Formula 1 del figlio, arrivato dopo una folle gara brasiliana per lo spagnolo, partitolo ultimo con la sua McLaren: i complimenti e l'invito a divertirsi per festeggiare che si mischiano al pensiero del dopo, ad un futuro che deve essere sempre più brillante. "Ora lavora per ottenere il secondo posto e poi il primo". Sì, risponde Carlos, come mi hai insegnato tu. 

Un rapporto, quello tra due piloti che si appartengono nel nome, oltre che nel cognome, basato sul "trasformare tutto in una competizione", sulla costanza e il duro lavoro, caratteristiche che hanno portato Carlos in Formula 1 prima e in Ferrari poi, coronando il sogno di una vita intera. 

"Ti saresti mai immaginato questo momento?" chiedono al padre il giorno del debutto a Fiorano, in rosso, del figlio: "Non avrei saputo spingermi così in là con la fantasia" ha risposto lui guardandolo uscire dai box. 

Gioia, anche qui, che si mischia con il dolore. La fatica di arrivare nella massima serie, le delusioni e anche la paura. Uno dei momenti più emozionanti di tutta la serie riguarda proprio il figlio e il terribile incidente in cui rimase coinvolto nel corso del fine settimana di Sochi, nel 2015, quando il giovane spagnolo guidava la Toro Rosso. 

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"Io sentivo quello che diceva il suo ingegnere, in radio, e l'ho sentito chiedere 'Carlos, stai bene? Carlos? Carlos, stai bene?' - ha raccontato il padre - E nessuno rispondeva. Iniziarono a passare i minuti: quattro minuti, cinque minuti. Poi dieci, quindici minuti. Reyes (la moglie, ndr) ha ceduto, ha iniziato a piangere. In quel momento ti passano tante cose per la testa, inizi a sentire il peso della responsabilità per tutta la vita di tuo figlio". 

Un incidente che si rivelò poi solo un grande spavento per la famiglia Sainz e Carlos Senior, che dentro le sfide e le difficoltà si è sempre riscoperto più forte, più pronto a ricominciare. Che si trattasse di un mondiale rally, una Dakar, un'avventura qualsiasi. Una nuova partenza. 

Non ha senso rallentare quando la vita è così, quando le sconfitte non sono fallimenti continui e le vittorie non sono tutto ciò che ha valore nella vita. E il più vecchio vincitore di una Dakar, oggi di nuovo in lotta contro il deserto, ne è l'esempio perfetto. 

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