Un anniversario che si fa sofferenza, un processo che si fa rabbia, una famiglia che si fa forza. E’ tutto questo il 30 novembre 2020. Perché sette anni fa, sul circuito del Sagittario di Latina, durante un evento di solidarietà, Doriano Romboni è morto. In pista, mentre partecipava ad una gara di motard insieme ad altri piloti, ex piloti e personaggi del mondo del motorsport. Una caduta banale, di quelle che sui circuiti sono pane quotidiano. Ma sui circuiti dove tutto è studiato per garantire il massimo della sicurezza. Non era così quel giorno a Latina, o almeno sembra che così non fosse. Il resto lo ha fatto il destino, che si è messo più di traverso delle ruote stesse di una motard in corsa. Il corpo di Doriano che scivola fino al pezzo di tracciato parallelo, un altro pilota che sopraggiunge e la tragedia. Morto. Un marito, un padre, un grande campione.
“Quello che fa male – ci ha recentemente raccontato Sara, la moglie di Romboni – è che a distanza di sette anni non si sia arrivati a una verità. E l’unica verità che c’è è quella che ogni volta devo raccontare alle nostre figlie: papà non c’è più”. Da sette anni oggi. Quel giorno Romboni era partito dalla Liguria per andare a Latina e, come ha raccontato proprio sua moglie, non era stato a chiedersi se fosse opportuno o meno partecipare a quella iniziativa in ricordo di Marco Simoncelli. “Se posso dare una mano a qualcuno, mettere il mio nome per aiutare chi è in difficoltà e nello stesso tempo ricordare il grande Sic, sento il dovere di andare, di non far mancare la mia presenza” – E’ con queste parole che aveva salutato sua moglie per l’ultima volta. Il resto è la cronaca di una tragedia avvenuta sotto gli occhi di molti, durante quella che doveva essere una festa. “Ho passato anni assurdi – racconta ancora Sara - tirando avanti una famiglia di tre figli, con due bambine piccolissime, senza quello che era a tutti gli effetti il nostro punto di riferimento, il nostro pilastro. Di affetto ne ho visto tanto, di aiuto decisamente di meno, ma dopo sette anni siamo ancora qua. Forse qualcuno pensava che mi sarei arresa”.
Lo avrebbero fatto in tanti, soprattutto accorgendosi che quel processo, se anche ci saranno dei rinvii a giudizio, non arriverà mai a una sentenza. Perché le indagini sono andate avanti troppo e perché quando è venuto il momento di presentarsi davanti al giudice c’è stato sempre un motivo per rinviare. Sentenza a settembre, poi a ottobre, poi sentenza a novembre e, ora, addirittura al 15 dicembre. Sembra che un imputato abbia fatto notare di non essere il vero imputato. E’ l’ultima di una serie interminabile, tra richieste di archiviazione, opposizioni, mancanza di documenti, vizi di forma. Assurdo anche a raccontarlo, difficile pure da spiegare in poche righe. Insomma, alla sbarra stavolta c’era finito un omonimo. Malagiustizia? Un termine probabilmente abusato, ma forse calzante nel contesto del processo per la morte di Doriano Romboni. Se non ci saranno ulteriori, assurdi, accadimenti, la sentenza arriverà a Natale, quando le famiglie stanno tutte insieme, tranne quelle che non possono più. Per la sorte avversa o perché qualcuno ha sbagliato? Non è la stessa cosa e chi doveva accertarlo ha lasciato che passasse troppo tempo. “Io non voglio mettere al muro nessuno, non voglio colpevoli per forza – ha concluso Sara sempre in quella intervista che le facemmo a settembre - Voglio solo capire, lo devo alle nostre figlie”.
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