Prevista per domani l'udienza davanti al Giudice per l'udienza preliminare, ma il rischio prescrizione è dietro l'angolo
Quando l’abbiamo chiamata, Sara, la moglie di Doriano Romboni, stava partendo per Roma perché domani, alle 9:30, dovrà essere in tribunale a Latina per l’udienza sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei confronti dell’amministratore delegato della società "Il Sagittario Srl" (titolare del circuito motociclistico di Latina), un ispettore e il coordinatore del Comitato impianti della Federazione Moto.
“Ho aspettato questo momento per sette anni” – ci racconta la donna che con Doriano Romboni aveva condiviso gli ultimi anni di vita e una meravigliosa famiglia. “È stata una battaglia durissima e lunghissima – dice – non per mettere al muro qualcuno, ma per portare avanti un diritto e per onorare la memoria di Doriano, perché quello che è successo a lui non deve capitare più a nessuno”. Era, lo ricordiamo, il 30 novembre del 2013 quando l’indimenticato campione spezzino aveva deciso di partecipare al Sic Day proprio sul circuito di Latina. “'È un evento benefico per ricordare il grande Marco Simoncelli', mi aveva detto Doriano prima di partire" racconta Sara. "'Ci vado', aveva aggiunto, 'perché quando si può fare qualcosa di buono bisogna esserci'. È stata l’ultima volta che l’ho visto”. Una caduta banale, durante una gara di motard: la perdita di controllo della moto e la scivolata fino alla parte opposta del circuito, con le vie di fuga troppo strette e senza le dovute barriere. Romboni, come è noto, finì investito da un’altra moto.
“Ho passato anni assurdi, tirando avanti una famiglia di tre figli, con due bambine piccolissime, senza quello che era a tutti gli effetti il nostro punto di riferimento, il nostro pilastro. Di affetto ne ho visto tanto, di aiuto decisamente di meno, ma dopo sette anni siamo ancora qua. Forse qualcuno pensava che mi sarei arresa, che una donna sola e con tutta quella rivoluzione, anche emotiva, nella sua vita, non avrebbe portato avanti una battaglia così dura e così serrata", racconta ancora Sara, "ma Doriano Romboni, il mio compagno, il padre delle mie figlie, ci aveva insegnato che non si molla mai, che finchè c’è forza si combatte e che, quando la forza non c’è, bisogna comunque trovarla. Doriano quel maledetto giorno non ha lasciato il manubrio, ha cercato fin oltre il possibile di tenere in pista la moto. E quando qualcuno in questi anni mi ha consigliato di lasciar perdere, di non rovinarmi il fegato con una battaglia legale, ho sempre risposto: non mollo come lui non ha mollato quel giorno il manubrio e come non ha mai mollato nella sua carriera”.
Oggi, alla vigilia di una udienza importante, Sara Romboni dice di non saper descrivere le sue sensazioni: “Non so come andrà a finire, ho fiducia nella giustizia e per certe cose ci sono gli avvocati. Io posso solo parlare di sensazioni e emozioni e, al momento, mi sento scarica come chi è alla fine di un round ed è contestualmente consapevole che sta per iniziarne un altro”. Le richieste di rinvio a giudizio, come già accennato, riguardano le presunte responsabilità sulla morte del pilota ligure per la mancata sicurezza del circuito e per la non regolarità della documentazione attestante la conformità della piccola pista di Latina. “I metri tra un tratto d’asfalto e l’altro non erano abbastanza. Ma, al di là di questo, sarebbe bastata una balla di paglia", spiega Sara Romboni, "Invece non c’era, perché per qualcuno, evidentemente, i piloti sono carne da macello. La sicurezza deve venire prima di tutto nel motorsport: ecco perché dico sempre che questa è una battaglia per tutti. Quanti ce ne sono che per situazioni analoghe hanno perso la vita o hanno dovuto fare i conti con disabilità permanenti? Chi fa business nel motorsport dovrebbe capire che è vero che i piloti hanno scelto uno sport in cui rischiano la vita, ma che non per questo la loro vita ha meno valore delle altre. Anzi: evitare i pericoli evitabili dovrebbe essere un dovere che viene prima di qualunque altra cosa. Voglio creare un precedente, così che certe cose non succedano più”.
Ma ci sono voluti sette anni, tra lungaggini, archiviazioni, opposizioni e quello di domani sarà solo il primo vero snodo di un percorso giudiziario che rischia ora di finire nella maniera peggiore: senza una verità. “Domani sapremo se i tre saranno rinviati a giudizio o meno – conclude Sara Romboni – ma è assurdo che ci sia voluto così tanto tempo per arrivare ad un primo traguardo. Anche perché l’anno prossimo tutto potrebbe cadere in prescrizione e sarebbe una beffa intollerabile per tutti. Doriano non ce lo restituirà nessuno, il mio non è un accanimento, ma un bisogno di far prevalere il senso di giustizia, come cittadina e come madre, prima ancora che come moglie di un uomo straordinario. Le nostre figlie hanno dovuto imparare a vivere ripetendo continuamente le frase ‘papà non c’è’ e ‘papà non c’è più’ quando, con un minimo di attenzione, minore superficialità e facendo le cose come andavano fatte, avrebbero potuto dire ‘ciao papà’ ogni giorno”.