Il livello di questa MotoGP è il più alto che si sia mai visto. Quante volte abbiamo sentito questa frase negli ultimi tempi? Anche ponendo che ciò sia vero, anche dando per acclarato che questa MotoGP sia la più performante di sempre, che i piloti che la popolano siano i più veloci mai osservati in azione, è possibile ritenere che la MotoGP del 2021 e, soprattutto, quella dei prossimi anni, sia la MotoGP migliore di sempre?
Sai davvero perché ti piace lo sport?
I duri e puri - o, meglio, quelli che si credono tali - sostengono che una disciplina debba essere seguita unicamente per godere delle performance dei suoi atleti. Balle. Ciò che rende lo sport tanto appassionante, ciò che vi incolla al divano ogni domenica, ciò che vi fa commuovere, incazzare, abbracciarvi, picchiarvi, godere è la capacità dello sport di mettere in scena una sintesi perfetta dell’infinità di vicende che caratterizzano la nostra esperienza, come esseri umani, sul pianeta Terra. Un campionato del mondo di MotoGP, un campionato di Serie A, le Olimpiadi, una finale dei 100 metri, non sono altro che lunghi racconti ricchi di personaggi, imprevisti, colpi di scena, redenzioni, successi: storie capaci di farci confrontare con le difficoltà della vita, come i libri, i film o le serie tv. E qual è la cosa più indispensabile di ogni altra per raccontare una storia? Servono prima di tutto i personaggi.
Prendete una qualunque storia di successo degli ultimi mesi, al di fuori della MotoGP (così non vi arrabbiate). Perché ci emozioniamo tanto per la vittoria di Jacobs? Perché la sua è la storia (appunto) di un ragazzo che nessuno avrebbe mai dato per vincente, ma che grazie all’impegno è riuscito a coronare un sogno che sembrava impossibile. Ci saremmo appassionati allo stesso modo se il protagonista di questo percorso avesse avuto delle caratteristiche differenti? No, non lo avremmo fatto, perché il personaggio è l’elemento essenziale per dare forma a un racconto.
Ora, dicevamo della MotoGP di oggi: i suoi piloti sono i più veloci di sempre, ok, può essere. Ma sono anche i migliori personaggi che abbiano mai calcato quelle scene? Le vicende che sono in grado di rappresentare, i significati di cui si fanno portatori, sono i migliori con i quali ci siamo mai ritrovati a confrontarci? A mio avviso decisamente no. Anzi, con la definitiva uscita di scena di Valentino e fino all’annuncio del rientro di Dovizioso, ciò che si prospettava davanti a noi era l’avvento della peggior MotoGP che ci potesse attendere.
Mancano i personaggi (nel senso di personaggi)
Ma perché parliamo di personaggi poco interessanti? Cosa “fa” un personaggio? Beh, innanzitutto, nella forma più immediata per la narrazione “sport”, ciò che rileva è il suo palmarès. Dove ha corso in precedenza? Cosa ha vinto? Quanta fatica ha fatto per riuscirci? Sono tutte domande, queste, che ci permettono di comprendere il suo potenziale, di collocarlo all’interno di una scala di valori, di capire che importanza abbiano le sue gesta, rispetto a quelle degli avversari.
A questo proposito, Motosprint si è preso la briga di verificare quale corrispondenza ci sia tra la somma delle vittorie di Stoner, Lorenzo, Pedrosa, Rossi e Dovizioso, con i primi cinque della attuale classifica mondiale. Il risultato? Le vittorie dei primi sono pari a tutte quelle dei secondi, moltiplicate per cinque. Tradotto: senza nulla togliere alla velocità pura dei ragazzi attualmente impegnati in MotoGP, chi va forte negli ultimi - diciamo - due anni, non ha vinto praticamente nulla, se paragonato a chi era nel pieno della propria attività qualche anno fa.
L’attuale MotoGP ha quindi certamente un problema dal punto di vista della credibilità, all’interno dello stesso ecosistema MotoGP. Colpa, probabilmente, della Dorna, poco attenta a prevenire una inutile invasione di giovani senza arte ne parte, ma c’è dell’altro. A mancare, oggi, sono anche le personalità, i caratteri, i ruoli. C’è una sostanziale omologazione, quantomeno per gruppi. Da una parte gli italiani, tutti piuttosto simili nel loro modo di porsi, tutti riconducibili a un certo ambiente, a un certo modo di presentarsi, parlare, allenarsi, comportarsi in gara. Dall’altra gli spagnoli, che forse possiamo dividere a loro volta in un paio di sottoinsiemi. E poi c’è un sacco di gente di cui sappiamo poco o niente, di cui non si è parlato mai per i rispettivi traguardi sportivi e rispetto ai quali non c’è mai stato un vero approfondimento, la possibilità di conoscerne meglio il passato, e - soprattutto - dalla cui bocca non è mai uscita una frase degna di essere ricordata.
E Marquez? Come Valentino
No, non ce siamo scordati di lui. In griglia c’è, in effetti, anche un certo Marc Marquez. Gigante dal punto di vista della guida, potentissimo dal punto di vista narrativo, porta con sé un carico di vicende che dovrebbe bastare, da solo, a tenere in piedi la baracca. Basti pensare alla sua ascesa da fenomeno assoluto, l’apparente immortalità (mille cadute, zero infortuni), il 2015, l’infortunio (poi), il rientro affrettato, la sofferenza. Eppure, eppure, Marquez da solo non basta, almeno nelle condizioni in cui lo vediamo oggi. La sua incapacità di tornare effettivamente ai livelli che lo hanno visto protagonista fino al 2019, nonostante un rientro lampo che sembrava promettere il contrario e sul quale noi stessi (almeno, io) ci eravamo sbagliati, sono un elemento determinante nell’escluderlo dal centro della scena. E lo stesso, si badi bene, è valso per Valentino. Il Valentino visto negli ultimi anni è stato soltanto un comprimario, uno che, alla narrazione di questa MotoGP, ha aggiunto soltanto gli interrogativi sul suo ritiro.
San Dovizioso, pensaci tu
Ad evitare del tutto l’oblio ci ha pensato, come un fulmine a ciel sereno, l’annuncio del rientro di Dovizioso. Basterà lui soltanto a tenere accesa la luce? Dipende. Anche nel suo caso, di spessore ce n’è in abbondanza: la sue specificità, in qualità di soggetto super razionale, ragionatore, calcolatore, così differente dagli altri compagni di avventure; la sua velocità; la scelta di andarsene da Ducati, di subodorare Aprilia, di rientrare con Yamaha; l’assenza di un titolo nella massima serie. Ma cosa succederà se, come capitato ad altri prima di lui, come successo a Lorenzo, a Crutchlow, in parte a Pedrosa, si dovesse dimostrare che uno o più anni senza gare, in questa MotoGP, bastano per perdere definitivamente il treno? La mera presenza di Dovizioso, come comprimario, basterà a tenere viva l’attenzione su questa MotoGP? La risposta, a mio avviso è no ed è per questo che, appena sarà in pista, dobbiamo farci il segno della croce, sederci sul divano e pregare tutti assieme: San Dovizioso, pensaci tu.