Al Mugello senza Marco. Sono passati dieci anni, sembra ieri o un’eternità. “Non mi sembra che siano passati dieci anni. Non ci penserei se non ci fosse qualcuno a ricordarmelo. Per l’occasione faremo delle belle cose: un film documentario, uno speciale. C’è solo un problema: Marco non c’è”. Il Sic manca e per continuare a vivere Paolo ha fondato nel 2013 la Sic 58 Squadra Corse che oggi conta sette piloti: quattro nel campionato spagnolo CEV e tre nel Motomondiale con Tatsuki Suzuki e Lorenzo Fellon in Moto3, Mattia Casadei nella MotoE.
Che effetto fa tornare al Mugello?
Il Mugello è la pista più bella del mondo, il verde dei prati è bellissimo, ma qualche camperino in più non guasterebbe (sorride). È un peccato non avere il pubblico, ma intanto il campionato è ripreso e va avanti, e non è poco. Ritornando al Mugello, dal Campionato Italiano al Mondiale, ne abbiamo fatta di strada. Essere il babbo di Marco mi aiuta molto nella vita normale perché tutti hanno tanto rispetto per questo ragazzo. Abbiamo iniziato proprio al Mugello nel 2013 nel CIV con due pilotini e due motine e oggi siamo nel campionato spagnolo e nel Mondiale. Ci vuole un po’ di fortuna, ma i risultati dicono anche che abbiamo lavorato bene.
Adesso che sei un team di riferimento nella Moto3, hai pensato a fare il salto in Moto2?
Mi è stato proposto, ci sto pensando, ma in realtà mi piace molto la Moto3 perché questi bambini sono meravigliosi. Mi piace insegnare a quelli che vogliono ascoltare.
Anche insegnamenti di vita?
Questo è un ambito che riguarda la famiglia, anche se in parte sì. Insegno cosa sia il motociclismo. A prendere il nostro sport con impegno, professionalità e dedizione. Alcuni ragazzi pensano di essere arrivati quando approdano nel nostro team, non hanno capito che tutti si devono guadagnare la pagnotta. Marco Grana nei GP e Fabio Balducci nel CEV sono due tecnici fenomenali. Seguiamo questi ragazzini, anche io vado a vederli girare in pista.
In cosa è unico il nostro sport?
Mi piace pensare che il mondo delle corse continui ad essere diverso dagli altri sport. Ai miei ragazzi insegno il valore della genuina sportività, della solidale stretta di mano, dell’abbraccio come perdono dopo una caduta. Noi nativi romagnoli, terra di motori, siamo qui per crescere piloti, non calciatori.
Un po’ come facevi con il Sic.
Esattamente. Il mio vantaggio è essere stato babbo. Da uno sguardo, un movimento, una mezza parola di questi ragazzi, capisco già di cosa hanno bisogno. Mi stanno regalando delle grandi soddisfazioni. Il nostro team ha un’impronta diversa. È nato per necessità, per un bisogno del cuore. È stato un modo per sopravvivere, per ricominciare a vivere di nuovo. Per rimettere in pista quella passione, quei sogni, quel divertimento, quella forza, quell’allegria che hanno portato Marco a diventare Campione del Mondo.
Marco resta un’icona indimenticata del nostro sport
È incredibile l’affetto verso Marco. Adesso il museo è chiuso causa pandemia, ma in era pre-Covid avevamo anche 35.000 visitatori all’anno. Ancora oggi le persone suonano alla nostra porta. Molti portano olio e vino, altri vogliono vedere dove abitava Marco. Incredibile. Questo supporto ci ha aiutato.
Infine, un ricordo di Marco al Mugello.
Ti ricordi la gara sul bagnato di Marco con Mattia Pasini nel 2009? Fu un duello pazzesco fino all’ultimo giro. Quella domenica, dopo la gara, Marco firmò il contratto con la Honda HRC. Fu un momento di grande emozione. Ecco, è un ricordo che mi lega al Mugello che non avevo ancora raccontato a nessuno.